#pensieriallacaffeina, Difficoltà psichiche

Il covid non mi toglierà Parigi

Anche se il timore avrà sempre più argomenti, scegli la speranza – Lucio Anneo Seneca

Il computer è collegato al cavo della corrente da questa mattina alle 5. Ho fatto il giro a cercare per casa i tablet, le cuffie, mettere in carica la scuola per domani. E’ una pandemia, come si fa ad essere sereni in una pandemia? Ricordo che a casa mia, figlia di un falegname, restavano sempre cose da aggiustare, perché non c’è tempo per far i lavori a casa propria, quando passi la giornata ad aggiustare i pezzi degli altri. Ed è così che mi chiedo in che punto mi sono crepata. Un po’ ovunque temo. Manca quella spinta vitale che mi permetteva di organizzare una vacanza, ma anche solo una pizza nel week-end. Manca l’energia per pensare come sia fatto il mondo oltre i 30km da casa. Mi sono anche chiesta se la Tour Eiffel stia ancora al suo posto, se alla sera si accendono le luci e chissà se si sente ancora il vento addosso da Trocadero, e le dita si fermano sulla tastiera, le rughe compaiono sul volto, e lo sento. Sento il vento freddo e gelido di febbraio, che mi fa pungere le orecchie ma la meraviglia di quella costruzione che improbabile ha resistito alle esposizioni e sta li, ad aspettare che io torni ad ammirarla di nuovo, rende magico tutto.

Sono troppo dentro la pandemia per restarne emotivamente spostata, la sto vivendo, la sto sentendo, oscillo tra la pena per i morti e quella per i vivi, così oggi non parlerò di articoli, di scienza, di danni da restrizioni e di futuri incerti.

Parlerò di una lunga giornata. Iniziata con più cavi che fili che devo snodare quando addobbo un albero di Natale, iniziata con un trucco bello, un abito felice, e piombata in due classi a distanza che mi fanno risuonare in testa quanto non debba cedere al multitasking che fa male, che stanca, che non permette di fare tutte le cose al cento per cento. Come meritano. Ma il caos ha preso il sopravvento nel modo migliore. Perché io amo il caos. Diventa una musica in 8D che ti fa viaggiare da un emisfero all’altro del tuo cervello (perché non hai una motivazione valida per andare lontano), e ho sorriso. E ho guardato le mie bambine, stanche ma forti, capaci di trovare le più piacevoli soluzioni ai più grandi disagi. Si, il lavoro smart stanca. Non è smart. E’ capovolto. E non diventerà abitudine. Non per me. La scuola a distanza, non è scuola e sono arrabbiata, si tanto, perché le soluzioni dovevano essere altre, ma. I ma appesi. Quelli stesi. Come i panni che stasera ho tolto dalla lavatrice e in mezzo a tante maglie ha fatto capolino quella dell’atletica che mia figlia non potrà fare per chissà quanto e si aprono cassetti e cassettoni sulle ricerche sull’aumento dell’obesità, sulla mancanza di stimoli sociali in un periodo così delicato dello sviluppo e non voglio lasciarmi sopraffare. Devo galleggiare. Non cerco il lato positivo, le situazioni non sono medaglie. Non c’è il bianco o il nero. C’è il rosso. C’è la rabbia. Allora la spingo via, guardo il pc. Penso che sia stata una giornata davvero lunga. Ho fatto così tante cose che nemmeno le ricordo più. Credo che aggiungerò al cv che sono una mamma eroe. Di quelle che ha cavalcato la pandemia, le scelte giuste, quelle sbagliate. Di quelle che meritano un abito alla wonder woman. Eh si. Questa sera mi permetto anche di pensare che avere un corpo calloso così grande mi permette (ci permette, noi, donne) di tenere incollate così tante parti mentre lavoriamo, ritorniamo a scuola, cuciniamo, laviamo renda più facile per noi (donne)arrivare alla sera e sorridere.

Non ce la farò mai, e invece ce la stai facendo. Ancora 5 minuti, ancora 5. Non cerco il lato positivo, è una situazione rotonda. Ma cerco i momenti in cui oggi ho sorriso. E sono stati così tanti che pagano tutte le fatiche a sbrogliare i fili.

Non me ne volete. Ma oggi avevo bisogno di aggiustare qualcosa anche io.

Manuella

#pensieriallacaffeina, Difficoltà psichiche

Di asintomatici con il caffè #pensieriallacaffeina

Quando l’epidemia finirà non è da escludere che ci sia chi no vorrà tornare alla sua vita precedente. Chi, potendo lascerà un posto di lavoro che per anni lo ha oppresso. Chi deciderà di abbandonare la famiglia […] chi deciderà di credere in Dio e chi smetterà di credere in lui. David Grossman

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La memoria si appanna se tento di ricostruire senza appigli questi ultimi mesi. Ricordo vagamente il telegiornale che parla della Cina e mi sembra di conoscere quello che raccontava. Di un virus con potenziali effetti sul sistema respiratorio. Ma sono abbastanza sicura che in quel periodo non sapessi esattamente cosa fosse, cosa volesse dire essere positivi, quanto durasse l’incubazione e nemmeno che esistessero dei positivi asintomatici. Ma il mio cervello non può ricordare le informazioni in modo puntuale sulla linea temporale. Mette insieme quello che ha appreso nei giorni a venire e andando a ritroso, fatico a ricostruire i momenti in cui ho conosciuto. Un accomodamento di informazioni, a volte discordanti tra di loro. Una tempesta in atto da mesi con il vano tentativo di ricostruire un percorso  logico e vedere se da qualche parte c’è un luogo sicuro in cui rifugiarsi.

Tempesta. Citochine. Processo infiammatorio. Terapia intensiva. Ghostbuster intorno al paziente. Remdesivir. Tamponi. Mascherina. FFp2, Ffp3. Soluzioni idroalcoliche. Numero dei morti giornalieri in Italia. Tutta roba nuova. Alcune informazioni pressoché sconosciute sono entrate a far parte del mio vocabolario. La normalità è stata stravolta. Con adattamenti rapidi. Il lavoro agile. Le videochiamate. Gli aperitivi a distanza. Gli arcobaleni e le persone felici in terrazza. Corri che il bar chiude alle 18. Il bar è chiuso. Stampa l’autocertificazione. Il distanziamento trasformato in isolamento sociale.

E’ una grossa immagine fatta di piccoli e grandi elementi, alcuni statici altri dinamici, che rappresentano un quadro di cambiamenti cui siamo sottoposti da mesi. Alcuni lo hanno definito un enorme esperimento sociale del tutto inconsapevole. Una situazione ecologica da cui apprenderemo tantissime modalità di funzionamento e capacità di resilienza e capacità di analizzare la propria vita da una prospettiva quasi ascetica.

Io penso che il virus abbia colpito tutti. Direttamente o indirettamente. Ognuno ha pagato le sue personali conseguenze. E ci saranno positivi e negativi. C’è chi si ammalerà da questa situazione, chi non verrà toccato e alcuni asintomatici positivi. E non ci sono reagenti per capire.

I positivi con sintomi, avranno i sintomi. Che possono essere crisi ansiose, depressioni, anche suicidi. Nel silenzio del telegiornale su quanto accade nel mondo, troppo concentrati a far la conta dei morti, accadono anche loro, ma non ci sono autopsie che tengano, o meglio, ci sarebbe quella psicologica, ma tutto il focus delle risorse è solo su un virus. Si vabbe ma stavano già male prima dai. Può essere. Può essere che ci fosse un disagio che la solitudine in cui si è ridotta la loro vita abbia fatto da detonatore. Può essere che l’incertezza economica lo abbia fatto. Può essere che convivere forzatamente in un nucleo inadeguato abbia tirato fuori emozioni che non potevano essere gestite tra quattro mura. Ma è come dire che si muore di Covid perché ci sono patologie pregresse. Magari se non ci si fosse ammalati, la malattia pregressa si riusciva a gestire. E come per il Covid ci sono persone con un quadro tremendo anche se erano sane. Si faccio paralleli magari azzardati. Ma a me piace tantissimo la tutela e la prevenzione. E cosa accadrà alle nostre menti, non lo sappiamo come non sapevamo nulla del corona virus fino a qualche mese fa. Perché è una situazione che non ha precedenti così ben articolati. Gli studi si focalizzano su quarantene più brevi. Non mondiali. La Spagnola non aveva la globalizzazione del digitale. Possiamo aspettare e vedere cosa capiterà.

Ma io fantastico  che come per la positività al Covid senza sintomi, ci sia una positività alla situazione senza sintomi. Un’apparente percezione di normalità intorno a quanto ci sta accadendo, con effetti non ancora prevedibili.

Ci saranno ripercussioni a livello psicologico. Si. Assolutamente. Per tutti? No. Assolutamente. Alcuni ne trarranno un enorme beneficio? Si. Assolutamente.

Perché?

Perché la struttura mentale e psicofisica di ciascuno di noi è diversa. Ognuno ha la sua storia di vita alle spalle. E su quelle spalle uno zaino di strumenti che possono andar bene o meno in questo preciso momento. Alcuni possono utilizzare tutte le risorse per costruirsi un riparo, procurarsi cibo, adattarsi alla vita nuova. E poi non riuscire più a tornare nella vecchia realtà. Ma in fondo nemmeno sappiamo se e come ci torneremo. Per il semplice fatto che non abbiamo una sfera di cristallo in grado di dirci cosa accadrà domani. Altri si troveranno uno zaino pieno di strumenti inutilizzabili in questa situazione. E sarà magari difficilissimo sopravvivere nel qui ed ora ma torneranno a star bene fase dopo fase. Altri staranno bene qui, ora e domani.

Cosa posso fare?

Monitorarmi. Ascoltarmi. Siamo diventati così bravi a notare uno starnuto ed un colpo di tosse che possiamo farlo anche con un eventuale sbalzo di umore. Una modalità diversa, rispetto al mio storico, di comportarmi. Un sorriso in meno. Un fastidio nella pancia in più. Ascoltare. Sentire. Osservarsi. Evitare di pensare che io ce la faccio da solo perché si. Imparare da questa situazione che le cose possono accadere. Che non è colpa mia. Che accade non perché non sia forte abbastanza o non abbia assunto abbastanza vitamina C. Accade.

E gli asintomatici positivi? Posso anche piacevolmente pensare, che la situazione abbia avuto su di loro un effetto di risposta lieve. Che i fattori di protezione fossero adeguati in quel momento, che la sofferenza non si percepirà e si tornerà all’omeostasi nel tempo.

Che diavolo è un fattore di protezione?

E’ una sorta di difesa immunitaria. Lo so già che qualcuno mi farà la punta. Ma sono sempre le 7 del mattino mentre scrivo e credo di aver sognato Esplorando il corpo umano tutta la notte. Perdonatemi. E’ un cuscinetto. Che protegge da tutte quelle situazioni di disagio che possiamo sentire. In questo caso i fattori di protezione possono essere la gestione del tempo in maniera adeguata, l’uso di tecniche di meditazione o rilassamento, attività manuali che danno gratificazione (oh dopamina, dopamina sei tu dopamina?) capacità di vivere il qui e ora, buone capacità di riconoscimento dei propri stati interni, sole (si. pure lui), attività fisica, condivisione sociale (attraverso piattaforme social), possibilità di avere momenti di solitudine in casa propria (bizzarro vero? ma potersi ritagliare 20 minuti in cui non si hanno figlie marito moglie compagni nonne zii genitori, addosso, è fondamentale). Quei famosi strumenti nello zaino di cui sopra.

Dai Manu concludi, che tra poco inizia la scuola.

Non ci sono conclusioni. Stiamo ancora scorrendo. Non posso imporre il bricolage a me stessa, figuriamoci agli altri. Scaviamo nello zaino, cerchiamo dentro e qualcosa riusciremo ad adattare. E se non ciriusciamo da soli, io e i miei colleghi siamo un esercito formato per cercare negli zaini. Siamo al 4 maggio. Ma non è finita. Pessimista. No. Realista. La partita si sta ancora giocando. Concludo andando a fare un caffè. Guardando fuori dalla finestra. Avete notato quanto sia bello il cielo in questi giorni?

 

 

Manuella Crini, psicologa e dottore di ricerca in psicologia dello sviluppo e dell’educazione. Non mi sono dimenticata della fascia 0-18, penso costantemente a loro. E’ che le parole pesano e prima di poterle mettere su carta, devo ponderarle come ingredienti della ricetta di un dolce.

Difficoltà psichiche

Contro l’assalto delle risate, nulla può resistere. Mark Twain

 

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Happy, sorridi. Appari felice, piuttosto che essere felice. Disegnati il sorriso sul volto e cerca di far felici gli altri, piuttosto che te stesso. Esasperato, dentro un contesto patologico, questo continuo ricercare una felicità senza viverla, porta alla nascita del crimine. Un crimine non vendicativo, ma solo specchio di un vuoto empatico.

Sorridi sempre, anche se il tuo sorriso è triste, perché più triste di un sorriso triste, c’è solo la tristezza di non saper sorridere. Jim Morrison

Una mamma con un disturbo di personalità, un bambino adottato delle cui origini  non si sa nulla, abusi, sevizie, uscire da questa strada intatti, è difficile. Ai limiti dell’impossibile. E in questo terreno così ostico ne viene fuori un personaggio che da sempre suscita un senso di attrazione, perché è istinto, perché è capriccio, perché è caos. Nel totale ribaltamento delle aspettative, il personaggio nero, scuro, senza espressioni sul volto, rappresentato da un pipistrello, è il buono. La faccia buona del continuum bene vs male. E il male trae la sua origine in un torbido fatto di colori. L’empatia che manca ad Arthur, non manca a chi guarda la sua storia. A chi lo vede bambino, legato ad un calorifero. Percosso. Fa scattare quel senso di accudimento, di impotenza e di rabbia che ci fa schierare dalla sua parte, nel tentativo assurdo di trovare un confine logico tra il bene e il male. Fa sentire inadeguati spostarsi dalla parte del male e tifare per lui. Ma c’è un momento in cui questo senso di inadeguatezza si tranquillizza. Quando tutti indossano la sua maschera. Quando tutti ammettono che la responsabilità del loro star male è data da una causa esterna, che va punita. La società. Quella roba che già Freud sosteneva, nel 1929, avrebbe creato un forte disagio, perchè la forbice con la biologia stava diventando troppo ampio. 90 anni fa. La civiltà soffoca i nostri istinti primari, brutali e inaccettabili a volte, e la società li schiaccia con leggi e punizioni, per sopirli. Ci ritroviamo in sintonia in questa situazione. E non siamo soli. Dividiamo la responsabilità di quanto sta accadendo, la mettiamo capo a Joker e ci sentiamo più leggeri.

Ma chi Joker?

Arthur è figlio di una donna narcisista. Una donna con un legame possessivo nei confronti del figlio. Fortemente manipolatoria, e incapace di dare amore, e di sostenere la differenziazione psichica nel figlio. Si, quella donna così fragile e sorridente, perché il male, inteso come origine del dolore negli altri, non sempre ha una faces prototipica, ma spesso ha forme piacevoli. E’ come se ad Arthur la felicità fosse solo stata narrata, e mai vissuta. E quella narrazione ha preso la forma di una maschera sul volto. Dove era disegnato un sorriso, la manifestazione universale della gioia. Ma quale vuoto immenso deve aver provato ogni volta in cui quel sorriso non corrispondeva la sensazione di benessere, tanto da renderlo agonizzante, atroce. Quanto dolore in una risata. Una risata patologica. Irrefrenabile. Una risata che solo una malattia mentale riesce a spiegare. Ma la matrice di quella malattia affonda anche nella società. Una società che non è stata capace di accogliere un bambino abbandonato, se non affidandolo alle cure di una donna sola e malata, una società che non ha saputo contenere la patologia quando diventava più forte ed una società che infine si rivela fatta da molti individui che soffrono. Una società che mi ricorda molto quella che veniva dipinta dalla scuola di Chicago negli anni ’30, che vedevano nella disorganizzazione sociale, l’utero del crimine.

I traumi subiti da bambino, le percosse possono aver dato origine a danni anche di tipo fisiologico, oltre che di natura psicologica e relazionale. La mancanza di empatia, ha fatto si che in qualche modo, anche in assenza di un corredo genetico condiviso, si instaurasse un disturbo di personalità, più istrionico che narcisista, e che con questo ha un forte legame. Ma sembrano esserci più disturbi in quel corpo così privo di ogni forma di amore. Una perdita di contatto con la realtà, tale da produrre allucinazioni che possano riempire quel senso di abbandono che si porta costantemente dietro. Un probabile disturbo dell’umore. E questa risata inadeguata. Inopportuna. Un urlo che nessuno riesce a capire e ad accogliere.

Joker è una difesa. E’ il prodotto di una malattia non solo individuale, ma collettiva. E’ la risposta ad una storia di vita che è stata dipinta in modo da farne percepire la plausibilità. E’ una difesa che diventa maschera. In parallelo alla maschera che indossa Batman. E’ il lato in ombra della collina. Una polarità.

Ridi sempre, quando puoi, è una medicina gratuita. Lord Byron

La dott.ssa Manuella Crini pienamente consapevole che Arthur Fleck è un personaggio che non esiste nella realtà. Che non si fanno diagnosi basandosi su pochi elementi visti su un megaschermo, ma ritiene che Todd Phillips e Joaquin Phoenix abbiano caratterizzato un personaggio in modo così vivido e toccante, che era davvero un crimine non usare tutto questo materiale per sfiorare così tanti argomenti. Il disegno è di Riccardo Filimbaia. Per chi lo volesse su pelle, può contattarlo. 

Abbiamo sempre considerato la risata come qualcosa di contagiosamente bello. Capace di comunicare la gioia e farla sentire agli altri. Questo film smonta questa certezza. E ci fa riflettere su quanto sia fondamentale esprimere ciò che si sente, dandogli il giusto nome. 

Difficoltà psichiche, Senza categoria

Molti diedero al mio modo di vivere un nome e fui soltanto un’isterica (A Merini) di isterie di vibratori e di poesie di resistenza

Ad esempio Charcot dimostrò che i fenomeni isterici sono qualcosa di autentico e conforme a uno scopo, che l’isteria è molto frequente negli uomini, che paralisi e contratture isteriche possono essere provocate dalla suggestione ipnotica e che questi prodotti artificiali hanno, fin nei minimi dettagli, le stesse caratteristiche degli attacchi isterici spontanei che spesso vengono provocati da un trauma.                                   Sigmund Freud

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L’utero è mio e lo gestisco io. Quella roba che quando ho visto alla mostra dei corpi, così piccolo e indifeso, una piccola tasca in grado di contenere, accogliere e far crescere una vita, mi ha stupito nella sua fragilità e minutezza. Capace di adattarsi ai cambiamenti, di deformarsi fino a prendere una forma che nulla ha a che vedere con l’originale, capace così tanto di rappresentare l’essenza dell’essere umano. Isteria parte da li, da Ystera, utero. Una malattia dai toni prettamente femminili. Una forma di psicopatologia. Le radici sono antiche, egiziane, e si riteneva che uno spostamento dell’utero potesse causare alterazioni psichiche nella donna e la soluzione era cercare di riportare questo organo dotato di potere maligno e benevolo al posto giusto.Oppure starnutire. No, non ridere, la medicina ha una storia complessa e affascinante e Ippocrate usava una sedia rotante per riportare gli umori al posto giusto e l’utero si poteva sistemare anche starnutendo. Le isteriche sono state poi streghe, esseri posseduti dal maligno, insensibili al dolore durante le crisi. E si passò all’uso degli ovuli, quando il rogo non funzionava. La scienza a tentoni cercò di dare una qualche giustificazione che tenesse un po’ di più e allora si ipotizzò che in qualche modo l’utero che si ammalava, diventava freddo e intaccava altri organi interni causando gli spasmi tipici dell’isteria. La menopausa era considerata causa di psicosi, come se tutto girasse intorno, nella donna, a quella piccola tasca marsupiale che permette la vita. L’isteria è anche stata trattata con massaggi. Quelli con happy ending, che guai a chiamare orgasmo però, erano solo parossismi isterici, una manifestazione particolare legata alla patologia. Si è passati alla cura con il vibratore, che nasce come strumento medico e poi, fortuna nostra, è diventato strumento di piacere. Ma anche attraverso pratiche brutali che prevedevano la clitoridectomia e l’isterectomia. La strada per arrivare ad affermare che l’isteria non ha a che vedere con l’utero, ma è legata ad un altro organo, sempre meravigliosamente plastico, ma che sta un po’ più in su, è stata lunga, e si arriva a Parigi, da Charcot, che descrisse in modo accurato gli attacchi isterici, dalle pose plastiche alla fase allucinatoria. Siamo poi passati attraverso Anna O., la paziente di Freud, di cui magari vi racconterò più avanti, riportando tutto ad una sfera affettiva traumatizzata.

Nell’immaginario popolare la donna isterica non assume pose plastiche, nessun arco isterico. Diventa la donna lunatica, quella che ha crisi improvvise di rabbia, di panico, che non riesce a contenere tutto il tumulto emotivo che ha dentro. Da psicopatologia a parola offensiva per minimizzare a volte un bisogno, la strada è stata apparentemente breve, ma degli antichi egizi ad oggi è stata lunga.

Che cosa resta dell’isteria oggi? Si parla di disturbi di conversioni o di personalità istrionica e analizzando la radice del termine, si ritorna all’utero. E della parola isteria resta solo la parte sfregiativa, quella che taglia la pelle dell’emozione, che ti dice che il tuo urlare o il tuo piangere o la tua paura, non hanno dignità. A volte è un bisogno urlato, perché non sia aveva lo strumento giusto per parlar a bassa voce, è uno sfogo troppo a lungo taciuto. E’un dolore che va lenito, un dolore che va ascoltato e a cui dar forma. Ma le sue parole vanno più dirette a quella parte del cervello che è capace di emozionarsi ancora. E ve le metto qui.

 

Sai cosa ti dico?

Ch’io la amo questa mia isteria.

E sai perché la amo?

Perché è mia.

E perché dopo tanti anni ti ho rivista

– amica mia –

tu con due bambini in braccio

io con un figlio già cresciuto

a domandarci se sia vivo

tutto quel che abbiam taciuto,

mentre tu scegliesti di restare

con un uomo sempre assente

ed io optai per il partire

– che intanto non cambiava niente –

Per essere poi sole tutte e due

ancora a domandarci se sia colpa

di quella parte di incoscienza

che ci ha viste scanzonate

per il mondo

come sciocche ragazzine.

Ancora a domandarci

se non dovremmo pianger mai

non essere invadenti

non alzare mai la voce

nascondere il minuto di paura

condannare

quell’espressione di isteria

che eppure sai cosa ti dico

amica mia?

Io la amo, perché è mia!

Perché è il frutto

di quello che ho vissuto

figlia legittima di ciascuna frustrazione

di ogni atto di coraggio

di tutta quella tentata umiliazione

a cui -alla fine-

non abbiamo mai ceduto

come mai lo abbiamo fatto

con il misero ricatto

che ci vorrebbe con un culo

piccolo e perfetto,

che ci vorrebbe a metter ordine

la sera

nella vita di uomini

sempre troppo stanchi per capire

quanto sia caro il prezzo

del dover essere perfette

e donne e madri e mogli

e amanti e figlie

e a letto anche un po’ puttane

senza mostrare mai stanchezza

né paura

come se esser forti

volesse poter dire

aver messo al cuore la sicura

o come se esser grandi

volesse poter dire

abbandonare la bambine

che siamo state allora.

E invece sai cosa ti dico, amica mia?

Sfogati, urla, spacca tutto

gridalo in faccia a questo mondo

che hai paura

diglielo che non te ne fotte niente

della costosa perfezione

che non taci mai a comando

che non rotolerai nel fango

di quella schiavitù silente

che ti vuole sempre bella e sorridente

per cui – mi raccomando –

sii carina spiritosa ed accogliente

comprensiva, empatica e accudente

ma assolutamente mai invadente!

Mai stanca, mai sciocca,

mai bambina,

– E smettila con le richieste di attenzione!

Non vedi che oggi non ne ha voglia? –

– Ma come sei fragile! Dio!

Cosa ti piglia? –

Avresti forse voglia di gridare?

Di pestare i piedi

di impuntarti e non parlare?

Di mandare a fare in culo

tutto il mondo?

Di chiedere un abbraccio?

Di pregare una carezza?

Di supplicare che sia legittimo

questo minuto di incertezza?

Sai cosa ti dico?

Fallo adesso – amica mia

prima che sia tardi e vada via

questo splendido momento di isteria.

#poesiediresistenzafemminile

 

Si ringrazia l’artista e Amica Amanta Strata, per aver dato un senso nuovo ad una parola che è stata stravolta nel suo significato originario e aver ridato dignità ai bisogni, quelli che se non sono compresi, restano intrappolati e volte urlati. Ridiamo dignità alle emozioni, che sono quelle che ci salvano. Sempre. Grazie.

Difficoltà psichiche

Ba Ba Baciami piccina con la bo bo bocca piccolina. Anzi, no.

Mi ha accarezzato i capelli e il mio cuore ha martellato così forte che ho pensato: se mi bacia, muoio.
Stefano Benni.

La bocca è fatta per mangiare, per respirare, per parlare, per mordere, ma non per baciare. Il bacio lo abbiamo inventato noi, non ha carattere universale e nemmeno umano. Alcune popolazioni native americane hanno scoperto il bacio solo dopo la colonizzazione europea. E’ quindi molto probabilmente una pratica inventata e diffusasi tardi nella nostra storia, anche se ci sono testimonianze in sanscrito, datate a 3500 anni fa, che descrivono il bacio come il respiro reciproco della propria anima.  E’ più tipica delle società stratificate, forse quelle che hanno il tempo da dedicare all’erotizzazione, ed è nata in quelle società che già davano importanza all’igiene orale (hai presente quanti batteri ci si scambi con la saliva?) e alla dimostrazione pubblica di affetto (e magari anche di “appartenenza”). Si, non è proprio un preludio romantico, ma questo è. Alcune popolazioni schifano il bacio. Altre lo adorano. Il bacio, oltre ad avere potenti effetti grazie allo scambio di germi di cui sopra, ha anche un potere fantastico che coinvolge il rilascio di serotonina che sappiamo ormai essere legata alla sensazione di benessere, e fa star bene. Chi non vorrebbe un bacio sotto alle stelle? Abitanti di Tonga a parte.

Chi ha paura di baciare. Ecco chi. Tonga sempre a parte. La fobia è una reazione angosciosa immotivata, ovvero scatenata da stimoli che non sono pericolosi. Chi ha paura di finire sotto al tram, attraversando le strisce pedonali a semaforo rosso e a mezzo in avvicinamento, ha una paura sana e motivata, che lo farà scappare prima di diventare un tutt’uno con le rotaie. Chi ha paura di qualcosa non oggettivamente pericoloso e specifico, ha una reazione patologica, che lo porta a evitare attivamente quello stimolo o a viverlo con una profonda ansia e tutto il correlato fisiologico che di conseguenza si attiva. Chi ha paura del bacio, lo evita. Il bacio ha una forte valenza emotiva e sentimentale nella nostra società, ha un forte legame con la sessualità e con la vicinanza emotiva. La mia generazione ricorda benissimo il bacio tra Richard Gere e Giulia Roberts in Pretty Woman, bacio che ha superato quel confine tra essere persone con una relazione sessuale ad essere innamorati. Chi soffre di filofobia, ovvero timore di innamorarsi, sarà ritroso anche nel bacio, proprio per la valenza affettiva che si trascina con se. C’è chi ha paura di un bacio per questioni legate all’igiene, per il timore di contrarre malattie. Questo timore non si lega solo al bacio, ma in generale si riscontrerà un’eccessiva attenzione a tutte le pratiche igieniche. Oppure si smette di baciare il partner perché l’intimità di coppia si è rotta, o comunque crepata. O caduta nella rovinosa abitudine.

Ora aggrappati al mio braccio, Tieniti forte. Visiteremo luoghi oscuri, ma io credo di sapere la strada. Tu bada solo a non lasciarmi il braccio. E se dovessi baciarti nel buio, non sarà niente di grave: è solo perché tu sei il mio amore.
Stephen King.

Perché si ha paura di baciare? Siamo esseri talmente complessi che non esiste una spiegazioni univoca del fenomeno ma è tutto riportabile alla storia di vita di ciascuno e al quadro più ampio che coinvolge affettività e controllo.

Si guarisce dalla paura del bacio? E’ una patologia come molte. Alla sera invece di contare le pecorelle, conto le innumerevoli forme che le fobie possono assumere. Hanno sfumature fantastiche, ma sono trattabili. Il primo passo è riconoscerle. Evito quello stimolo? Quando non posso evitarlo, cosa provo? Ansia? batticuore? Come sta la mia respirazione? Che sensazione soggettiva sto provando? Il secondo è rivolgersi ad uno specialista.

Tempo fa tenni una lezione alla facoltà di Biologia, spiegando i riti di corteggiamento umani e parlai di bacio. Chiesi ad alcuni utenti di Twitter di raccontare il loro primo bacio

@chiorder seconda media all’uscita da scuola, Uno schifo indicibile! Dopo ho mollato il fidanzato.

@macosinonVale su una panchina al parco. Sentivo sarebbe successo da lì a poco e ho sentito come un nodo nello stomaco che si scioglieva.

@terricenum Asilo. 4 anni. Le ho dato la mia pasta mensa, poi la baciai. La suora  mi rimproverò lei non mi parlo più.

@paolopak Il primo! Disastroso! La notte di San Lorenzo guardando il cielo a Montenero

@wannabebaol il punto numero 8 di questa vecchia cosa lunga, del blog, descrive il mio primo bacio (link al blog nel nome)

E il tuo primo bacio?

La dott.ssa Manuella Crini è psicologia clinica e giuridico-forense. Si occupa di tutto quello che riguarda il benessere. E il bacio è anche benessere!

Difficoltà psichiche

Storie di rondini e di cortisolo. E di ansia.

E’ che dietro le cose ci sei tu, Primavera, che incominci a scrivere nell’umidità, con dita di bambina giocherellona, il delirante alfabeto del tempo che ritorna.
Pablo Neruda.

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Le prove di volo delle rondini hanno qualcosa di magico, di ipnotico. La sola rondine che torna non fa primavera. Devono tornare tutte, ricostruire i nidi rovinati dall’inverno e iniziare la danza della rinascita. Il verde prende il sopravvento, cambia l’odore nell’aria, il sole torna a ricordare la sua presenza e lo fa in modo prepotente, allungando e riscaldando le giornate. Un senso di inizio. Fiori. Animali. Ansia. Ansia? Ansia.

Apparentemente la primavera può sembrare un periodo tranquillo, ma in realtà è il momento in cui il risveglio della natura e i cambiamenti continui all’interno della stessa giornata, amplificano i disturbi legati all’ansia. Succede che il corpo debba star attivo più a lungo e che per adeguarsi produca alcune sostanze come il cortisolo, un ormone che permette all’organismo di reagire in maniera immediata agli stimoli, fa tante cose belle, come far percepire meno intenso un dolore, fa prender decisioni in tempo breve, ma se si accumula, beh se si accumula, ha qualche effetto collaterale, come l’abbassamento delle difese immunitarie e crea irritabilità e ansia. Non mi stancherò mai di dire che mente e corpo sono un’unica grande Pangea che nel tempo è stata smembrata in continenti per motivi storici, culturali, religiosi, ma che un terremoto da una parte provoca sempre un qualche cambiamento dall’altra. Se nel corpo circola troppo cortisolo un qualche effetto sulla mente si sente. Ma non è solo il cortisolo la piccola particella che varia nel nostro corpo. La luce induce cambiamenti nella melatonina e nella serotonina. La serotonina, ormone del buonumore, tu quoque? E’ il giusto equilibrio a far star bene, nel disequilibrio tutto può prendere una forma diversa nel mondo del sentire, quindi anche una variazione di questi ormoni può causare una forma ansiosa o anche depressiva.

Ma la Pangea non lavora in un’unica direzione, se quello che circola dentro può cambiare il come ci sentiamo, quello che è il nostro vissuto può cambiare quello che ci circola dentro,  che meraviglia essere esseri coscienti!

La primavera inizia a metterci a nudo. La nostra armatura di stoffa si rimpicciolisce con il caldo, gli strati a cipolla vengono sfogliati via via che le ore si fanno calde e questo può provocare un senso di disagio e difficoltà. Le lunghe giornate ci portano ad essere più immersi nel mondo sociale, cade il controllo nei cambiamenti repentini, dal sole alla pioggia, dal caldo al freschetto, cambiano i colori, cambia il mondo, diventa tutto più imprevedibile.

La primavera è rinascita. E’ un inizio, e gli inizi a volte stimolano, altre volte fanno paura.

In primavera ho contato 136 differenti tipi di tempo all’interno di ventiquattro ore.
Mark Twain.

I cambi di stagione (non ci sono più le mezze stagioni, ma quelle intere si sentono ancora) hanno su di noi un grande potere. Saper riconoscere il cambiamento in noi, comprendere quella che può essere un’accelerazione cardiaca data dal caldo o data da un senso di ansia, capire come funzioniamo, perché per quanto simili siamo, ognuno ha il suo libretto di istruzioni, è sempre il punto giusto da cui partire. La conoscenza è sempre alla base dei grandi cambiamenti, o forse era la grande Donna dietro il grande Uomo, ma fuori c’è un meraviglioso albero in fiore e sono curiosa di correre fuori e ascoltarmi. Sapere come mi sento. Sapere se la mia direzione è quella giusta.

La dott.ssa Manuella Crini si occupa di consulenze sia presso il suo studio sia online. Per info, un piccolo tour del sito.