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Accadde in carrozza

Descrivi un incontro casuale con uno sconosciuto che ti ha impressionato positivamente.

Il fascino di chi non conosci, sta tutto nel fatto che non lo conosci. È uno splendido foglio bianco su cui dare vita ad un disegno meraviglioso.

Ci metti tutto quello che ti piace. O non ti piace. Ma il titolo è chiaro, we are supposed to be positive. Per cui ci metto dentro le mie passioni. E so, fortissimamente so, che ama quello che amo io, che ci saranno cose meravigliose se solo potessimo costruire un futuro fatto di tempo sospeso insieme. Ci metto dentro i miei desideri, le mie aspettative, e condisco tutto con un buon soddisfacimento dei miei bisogni. Anche di uno. Uno a caso. È un etto e mezzo, che faccio? Lascio? Lasci pure.

In quel foglio cancelliamo il passato, ma le tracce della matita restano. E scavano i solchi. Che cerchiamo di mascherare affinché quel disegno non vada mai più nella direzione del prima. Avrà linee più armoniche più belle più mie. Ma su quei solchi la matita inciampa. Perché il passato non passa quasi mai. Collassa nel presente e lo solca come le rughe di quel cubano. Quello sconosciuto di cui ho parlato altrove, con occhi di ghiaccio e pelle di ebano. Con età indefinita che sapeva di storia lunga. Di dolori e gioie. Di sorrisi difficili e di perdite mai superate. Eccolo, lo sconosciuto. Lo ricordo ancora. Seduto su un muretto rotto dal tempo e dalla noia. Con rughe profonde, un quadro perfetto. Un sorriso importante. Non poteva che aver avuto una vita meravigliosa. Veniva voglia di sedersi lì, di farsela raccontare la sua vita. Ma immaginarla è ancora meglio. Perché decido io.

Che belli gli sconosciuti. Hanno il fascino del per sempre.

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Un epitaffio. Sepolcrale. Soffrire sperando.

Stai scrivendo la tua autobiografia. Qual è la frase di apertura?

La frase di apertura è il pianto. Quando i polmoni iniziano il loro arduo lavoro. Che il cordone non impedisce nemmeno se si annida intorno al collo. Perché semplicemente prima, non respiravamo.

Ma è la frase finale quella che conta. Il riassunto di una vita intera in sintesi. Nasci. Muori. È quello che sta in mezzo che conta. Hai vissuto secondo i tuoi valori? Sei stato felice? Hai amato con tutte le farfalle?

La frase di apertura della mia vita dovrebbe essere il sunto finale della mia vita. La parola fine che precede l’inizio.

Perché anche le nella vita l’ansia è spesso fedele compagna, nessuno vorrebbe esser dentro un thriller. Ma nemmeno nel romanzo rosa. O nelle favole. Perché resta sempre tutto a metà. Ma la vita è dopo il caso risolto, dopo aver trovato l’amore, dopo aver indossato la scarpetta. È lì che inizia la salita. E il panorama è bellissimo.

Quindi dovrò aspettare che la vita mi scorra davanti. Sperando sia un bel film. Con punti di noia e risate. Con momenti in cui servire e tornare indietro per capirli davvero. Pentendomi di non aver imparato prima a restare qui e ora. Sempre.

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Somatotropina

Quali esperienze nella vita ti hanno aiutato a crescere di più?

Dormire.

E potrebbe finire così. Con una parola. Perché pensiamo troppo spesso che subire traumi aiuti a crescere. Che grande cazzata. Per crescere in modo sano, non solo aiutando la fisiologia, è necessario avere esperienze di vita gratificanti e non traumatizzanti. Avere una base sicura. Genitori capaci di essere un porto in cui tornare. Che non siano spazzaneve o neglettanti. La normalità è quello che aiuta nella crescita sana. Il resto accelera o rallenta il raggiungimento di un equilibrio.

Se il sonno della ragione genera mostri, il sonno delle emozioni genera adulti mostruosi.

Ogni esperienza segna. Ma le cicatrici spesso fanno male. E non sempre dai traumi si guarisce.

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Credo nel caos

Credi nel fato/destino?

Il destino fa pensare ad una storia d’amore. Quella cui siamo destinati. Quella cui dobbiamo a tutti costi sottostare perché la metà della mela ci aspetta. Il destino. Inevitabile. Contro cui nulla puoi.

Che idea depotenziante. Che idea del cazzo. Quella per cui non possiamo nemmeno scegliere chi scegliere. Quello per cui non possiamo decidere con chi condividere i capelli bianchi e le rughe profonde.

Credo nel caso. Anzi. Nel caos. Quello per cui siamo lì, tra mille potenziali e siamo solo in uno. E in quel potenziale esprimiamo tutta la nostra poca libertà di decidere. Nel caos.

L’amore è nel caos. L’amore è caos. E se fossimo destinati saremmo felici. Ma non sempre lo siamo. Spesso no. Siamo caotici però. Tanto.

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Adolescenza.

Che consiglio daresti a te da adolescente?

Che bella l’adolescenza. Quella trasformazione continua e verso la quale siamo totalmente impotenti.

Qualsiasi cosa venga detto ad un adolescente, viene tradotto e riletto. Perché spesso c’è il bisogno di fare l’esatto opposto. La madonna con la pistola. Il mio compito arduo di un’adolescenza emo era quello di diventare me stessa. E da bionda diventai nera. Poi blu. E parte di me lo è ancora. Insieme alla me bambina, c’è la me ribelle. Che andava bene a scuola e faceva battute irriverenti. E nei confini elastici che i miei genitori mi mettevano, forse proverei a dirmi che va bene così. Rischiando l’effetto opposto. Perché tanto non mi ascolterei. Mi vedrei vecchia e antipatica.

Farei parlare Margared Mead. Che con i suoi 23 anni ha avuto l’onere e l’onore di andare fuori dalla globalizzazione a conoscere quel periodo della vita al quale tutti vorremo tornare. Per restare o per cambiare. Dove le sinapsi aumentano e poi decrescono. Dove nemmeno i neuroni hanno pace. Dove tutto è in potenza, e aspetta solo di fiorire. Un’apoteosi indomita di fede e rigore che si arma controvertendo le regole.

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Tra cognizione ed emozione

Cosa ti annoia?

E chi la conosce più la noia? Con uno smartphone in mano, diventa uno stato, che oscilla tra i lobi frontali ed il sistema limbico, che non ascoltiamo più. Tra foto e video e reel e altre cose di cui devo ancora imparare il nome, ignoriamo la noia. Eppure vince a Sanremo. Perché la noia è qualcosa che parla. Che crea un vuoto indispensabile per farci prendere i pennarelli e colorare dentro e fuori i bordi.

Ma come tutte le emozioni, se non la ascoltiamo, se la ignoriamo, lei continua silenziosamente a guidare il nostro comportamento verso un abisso di apatia.

La noia è bella. Come lo è la tristezza. La rabbia. Il disgusto. La vergogna. E la sua bellezza sta nel potenziale comunicativo che ha con noi. Perché parla di noi. Ma ignorare, ignorare è brutto. Perché non ci si ascolta. E così il disegno resta vuoto. In bianco e nero. Senza sfumature.

Annoiati consapevolmente. Ascoltati. E colora

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Che domanda @manusbirra

Qual è il tuo drink preferito?

Amara. Fruttata. Caffettosa.

La birra porta con sé il sapore della trasformazione del luppolo. Altro che baco che diventa farfalla.

Basta il rumore del tappo che si alza per sentire già il sapore. Che strana cosa. Le associazioni mentali. Tra aree diverse del nostro cervello. Rumori, odori, sapori. Memorie.

Quel profumo che ricorda la nonna, per me quello del burro che si impasta con la farina e la vedo che sorride con il suo perfetto grembiule legato con eleganza e maestria guadagnata negli anni di vita. Quando era più difficile. Col cazzo che era più facile. Fatela voi la guerra. Fatela voi la fame. Fate voi i genitori guidati da stregoni che segnano i vermi quando il bambino piange.

Ecco come funzioniamo. Ho immaginato un cavatappi e sono finita a pensare alla vita della nonna. A ringraziare silenziosamente la sua storia che ha permesso la mia. Associazioni, catene di ricordi. Che lasciano il sorriso o l’amaro in bocca.

Come la birra.

Ho chiuso il cerchio

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Nel fango e nella polvere

Raccontaci del tuo paio di scarpe preferite e di dove ti hanno portato.

Mettiti nelle scarpe di un altro e prova a camminarci. Deve essere quella l’empatia. Sentire ad ogni passo come incliniamo il corpo per rispondere alla vita.

Le scarpe con i tacchi mi hanno sempre portato in luoghi dove potevano rompersi. Perché la femminilità è tanto dura quanto fragile.

Le scarpe eleganti mi hanno sempre portato in farmacia a comprare cerotti, perché il formalismo è doloroso. Perché comprime in qualcosa che non abbiamo deciso noi.

Le scarpe da correre mi hanno sempre portato nel fango e nella polvere. Nei posti sporchi con i piedi bagnati. Dove il cuore batte forte e il fiato si fa corto. E non ci sono forme dentro cui schiacciarsi e non ci sono maschi, femmine e stringhe. Ma ci sei solo tu.

Le scarpe da corsa sono quanto di più libero si possa avere ai piedi. Serve solo il coraggio di sporcarsi

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Amati. Almeno un po’

Amare sé stessi è l’inizio di una storia d’amore lunga tutta una vita

Oscar Wilde

Una delle più orrende bugie che ci propinano è che per essere amati serve prima imparare ad amare sé stessi. Che cazzata. Epocale. Mi può amare chiunque anche se io mi schifo. Beh, sto meglio se mi amo. Almeno un po’. Ma anche se io non mi amo, anche se mi schifo, qualcuno che mi ama in qualche parte del mondo, c’è. E forse attraverso i suoi occhi imparerò anche io ad amarmi per quella che sono. Ad avere il coraggio di farmi schifo ogni tanto. A prendere per buoni i miei pregi, ad avere il coraggio di accettare quello che non posso cambiare. Del resto noi amiamo anche il brutto. Il pannolino sporco, il vomito addosso senza correttore, il corpo perfettamente imperfetto e i segni del tempo.

Amati per quel che riesci. Metti amore dove riesci. E congratulati con te ogni volta che lo fai. E va bene anche se non hai voglia di star solo. Perché siamo animali sociali e l’equilibrio nella nostra solitudine è solo nostro.

Smetti di rincorrere tutti gli ideali, scrollati di dosso quello che non ti va. Ridi, corri, ascolta musica. Goditi il tempo con te e con gli altri. Guardati allo specchio e cerca un difetto e compensalo con un pregio. Che tanto sono solo parole. Mai assolute. Il mio peggior difetto può essere quello che l’Altro vede come mio miglior pregio. È tutto relativo se ci metti amore.

Amati solo un po’, fallo oggi. Anche una piccola parte di te. Guardati come il cane guarda la ciotola del cibo. Come il gatto guarda la scatola che contiene il regalo che hai comprato per lui.

Buon San Valentino al sapore di cioccolato e caffè

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Alla caffeina

Lou Reed diglielo tu

Drink sangria in the park

La giornata perfetta inizia con un caffè nero. Bollente. Che va fatto raffreddare prima di essere bevuto perché la fretta fa perdere i sapori. E bruciare la lingua.

Continua con le fusa del gatto, perché i sensi servono tutti. e le fusa sanno calmare. Sanno far sorridere.

E poi si ha da lavorare. Il travaglio francese, che nella sua bellezza genera un pezzo di vita. Quel posto nel mondo che se ami, non ti sembrerà mai di faticare.

E poi la cucina. Le mani in pasta. Nella farina, a sporcarsi di odori rumori e cambiamento.

Esseri umani. Ovunque. Piccoli grandi vicini lontani. Riempirsi la vita di altre vite, prima di dormire, nel buio di una stanza con la luce della luna e il rumore del silenzio