#pensieriallacaffeina

Milgram, illuminaci. Dicci, perché siamo stati crudeli con Imane?

Forse siamo delle marionette – delle marionette controllate dai vincoli della società

Nasco outsider. Esco con gli stivali anche in estate. Mi tingevo di nero quando tutte erano bionde. Non so cosa sia la moda. Faccio una ricerca su pubmed prima di dire la mia. Non ho mai amato omogeneizzarmi. Come il latte, che subisce quel processo per non lasciare l’alone sulla bottiglia. Puro valore estetico. Amo la sostanza.

Quindi quando mi sono trovata a studiare la psicologia delle masse, i processi dei gruppi, ho faticato. Tanto. E la ricerca mi ha aiutato tantissimo.

Milgram.

Genio. Studia un esperimento pazzesco, per capire come ci comportiamo di fronte agli ordini delle autorità. Quelle percepite come tali. Oh erano gli anni 60. Datemi tempo, ci arrivo.

L’esperimento è semplice e doloroso. Il soggetto sperimentale, ignaro del fatto che dall’altra parte ci sia un attore, infligge scosse elettriche di portata sempre maggiore su ordine di un comandante.

Cazzo e gliele da. Non si ferma. Anche quando l’altro sta visibilmente soffrendo (finge, ma finge bene).

Milgram spiega tantissime cose con questo esperimento. Del resto la guerra è ancora qualcosa su cui ci si interroga. Quanto dolore dato? Quante morti? L’esperimento nasce per spiegare il genocidio. O meglio, perché in tanti abbiano seguito ed eseguito ordini senza che la loro etica, la loro morale, sia intervenuta a dire che no, che insomma, ma ci siamo?

Milgram mi è venuto in mente oggi. É l’autorità è Internet. Internet comanda. E il popolo risponde.

E così milioni di persone hanno massacrato una ragazza di 25 anni. La cui unica colpa par esser quella di gareggiare alle Olimpiadi. È un uomo. È in transizione. È sotto testosterone. È una scia chimica.

Milioni di commenti. Contro un essere umano. E nessuna scusa. Perché padre Internet è il responsabile. La colpa è la sua. Già perché se non mi sento responsabile, se decide qualcuno (o qualcosa) io eseguo. E la colpa non è mia. La mia morale è a prendere il sole e non si interroga se quello che sto scrivendo (e le parole feriscono più di una lama) può far male.

Eseguo.

Ti chiedo scusa io Imane. A nome di tutti. Sperando che tu (ma diciamocelo, anche la Carini che si è trovata in un tunnel di pressioni devastanti) possa andare avanti a testa altissima.

#pensieriallacaffeina

I compiti a casa

Scrivi una lettera a te stesso a 100 anni.

Nella mia stanza accadono cose. In ogni stanza della mia vita accadono cose. Ma nella stanza dello psicologo accadono cose anche agli altri. Anche a me per dirla tutta. Ma questa è un’altra storia.

Nella mia stanza ci si trasforma. Confrontandosi con se stessi. Con quello che si è stato e con quello che si diventerà. Con la mia assurda pretesa di rimanere nel qui e ora. Quel magico spazio dove passato e futuro collassano in un buco nero che diventerà supernova. Non mi interessa sapere se è così o meno. Mi piace pensarlo.

Ma quello che accade nella mia stanza, accade nel tempo dopo. Nel tempo fuori. Come per ogni cibo che si mangia. Accade in digestione.

E in quella digestione lascio spesso i compiti a casa.e la lettera al se stesso invecchiato, c’è spesso. Quella lettera che parla di noi. Che aiuta a capire ora chi vorremo essere, ma anche chi non vogliamo. E quello sta in ciò che non raccontiamo. Perché il non detto ha un potere immenso. Racconta storie e favole silenziose. Parlando di noi.

E nel confronto possiamo fare collassare tutto. E siamo di nuovo nel prendere. Potenziali modi di essere noi a 100 anni.

Provo a sentire il futuro. Quello incerto. Quello che immagina il sole senza pioggia, quello che vuole un mondo senza guerra. Quello che si vede con nipoti, nipotini, unə compagnə rugosə cui stringere forte la mano e vedere il film della propria vita insieme. I capelli bianchi. O semplicemente ancora qualche capello. La somma di tutti i se.

Cara Manuella, chi sarai diventata a 100 anni? Non sarà noiosa la vita senza un lavoro? Avrai foto sparse di te che raccontano di quanto sia bello il mondo? Vivrai al caldo ogni giorno guardando il mare? Spero di si. Anche che ti annoierai. E nella noia inventerai racconti. Di sicuro non avrai imparato a disegnare. Ma a far sognare, spero di sì.

Manuella Crini

Psicologa

Pensieri su giornate speciali

Non si chiama festa della donna

Ma io me ne frego e la chiamo così

Le donne sono servite, in tutti questi secoli, come specchi che possiedono il potere magico e delizioso di riflettere la figura di un uomo a due volte la sua grandezza naturale

Virginia Woolf

Sono tutte belle le donne. Eccome. Ognuna con la sua forma. Ognuna con le sue idee. Ognuna con il suo talento. Così diverse. Perché è nella diversità che si cerca l’uguaglianza. Eppure no. Eppure genera fastidio che qualcuna stasera vada in minigonna e rossetto rosso a cena con le amiche.

Perché giudichiamo. Sempre. Ed è bello giudicare. È di vitale importanza. Per poter scegliere. Per potersi esprimere. Ma quando deformiamo il giudizio e lo riteniamo armageddon, allora no. Allora il giudizio fa schifo perché incasella in stereotipi che in fretta diventano violenza.

E ci siamo cresciute tutte dentro. Che devo saper cucinare, pulire casa, servire e occuparmi del portatore di pene. Ma non quelle, no, proprio quello. Il santo Pene. Quello che non abbiamo e allora viviamo castrate per un’assenza che anche la biologia nega. Già. Perché non abbiamo una costola in meno. Ma un potere in più. L’utero. Il maledetto utero che qualcuno vuole gestire e sottoporre a scelte non mie.

Essere donna è difficile. E poco importa se oggi festeggiamo o ci fermiamo a pensare a diritti che in fondo non ci sono. Perché finché necessitiamo di un giorno per ricordarlo, è perché quel diritto non c’è.

E dentro quel giudizio, cresciamo. E la mente si forma e si plasma e decide che è giusto così. Che sono donna senza pene. E allora scelgo la pena. La sofferenza. Scelgo una carriera che si concili con la genitorialità, e se non riesco, rinuncio. Scelgo di fingere un orgasmo, scelgo che mi vada bene se lui lo ha avuto e io no. Scelgo di truccarmi per uscire. Scelgo i vestiti che simulano forme. Scelgo che vada bene. Perché in fondo lo penso perché sono cresciuta immersa in un ambiente così. Dove penso sia giusto così.

Ma se non fossi stata imbevuta di questa roba? Che sarebbe della donna? Quella che sceglie il pretendente migliore per procreare? Non lo sapremo mai. Perché ormai la nostra natura è fusa con la società. Con le società. Ma in quasi tutte, la donna sta alle spalle. Dietro ad un pene. Una spugna. Due sacchetti.

Quindi continuiamo a festeggiare. Che sia la pizza in minigonna, che sia la protesta in piazza. Che siano i pop corn sul divano senza aver lavato i piatti. Perché nella festa c’è rumore e nel rumore c’è la voce. C’è la libertà di voler esser ciò che siamo. E per farlo va cambiata la società. Per metterci in ammollo le nuove generazioni. Quelle ancora pure, quelle per i cui i circuiti neurali possono ancora prendere forme diverse.

Perché siamo diverse. Anche dai portatori di pene. Ed è meraviglioso così. Ma essere profondamente diversi non vuol dire che qualcuno sia migliore o meriti di più. O di meno.

E un grazie a tutte le donne che si sono scrollate di dosso il “non puoi” . E tu puoi essere una di quelle.

Buona mimosa a tutti

Manuella Crini

Pensieri su giornate speciali, Senza categoria

I bilanci di Natale

Se ci diamo la mano
i miracoli si fanno
e il giorno di Natale
durerà tutto l’anno – Gianni Rodari

Tra le scadenze burocratiche di fine anno prende il sopravvento in maniera potente il bilancio di fine anno. Non c’è nessun commercialista che ne chieda conto, ma diventa un automatismo spinto anche dai buoni propositi che imperversano e che resteranno fermi fino a settembre.

Caro Babbo Natale, sono stato davvero buono? Ho saputo rispettare me stesso come merito? Tu che tutto puoi, che tutto osservi, mi sai dire se davvero ho passato un anno comportandomi bene e quindi mi merito i regali che ti sto chiedendo? Posso avere un po’ di felicità nell’anno che sta per arrivare?

E così Babbo Natale diventa un me stesso con cui parlo, divento io l’osservatore di me stesso, un osservatore che non scappa comunque dai meccanismi più antichi e guarda inizio e fine dell’anno passato, dimenticando il “costruire” che sta all’interno e non me ne voglia Niccolo Fabi, ma inizio e fine sono due aspetti che facilmente ricordiamo. Quello che sta dentro, a meno che non sia crema al mascarpone dentro al pandoro (a me il panettone non piace e chiuderei qui la diatriba inutile), lo scordiamo.

E allora facciamo questo dannato bilancio, sforzandoci anche di ricordare i mesi centrali. Ma come si fa? Come analizzo tutto quello che mi è accaduto in 365 giorni in modo da poter pianificare i venturi in modo che io possa raggiungere vette del benessere ancora inesplorate?

Per far un bilancio servono operazioni, non chirurgiche, ma quasi. Matematiche soprattutto, fatte di somme e sottrazioni. Chi ero e chi sono. Chi volevo essere e chi sono diventato.

Cosa mi ero proposto lo scorso anno? Che avrei fatto palestra? Che avrei lavorato di più o di meno? Che avrei trascorso più tempo in famiglia? Che avrei potato rami secchi?

Partiamo da lì, cose semplici. Che nascondono molto di noi, del nostro ideale. Del nostro Natale.

Niente Grinch per quest’anno. Perché tanto anche lui ama il Natale. Ne ha avuto uno. Senza saperlo ma non senza volerlo. Cerchiamo il Natale dentro di noi. Quella rinascita anche piccola che ci farà sorridere tra 365 giorni.

L’ augurio fatevelo da soli, non perché ne sia a corto, ma perché ognuno di noi sa cosa volere per se stesso. E se non sa come ottenerlo, il primo passo è capire se qualcuno intorno a noi, o anche più lontano, può aiutarci a togliere la nebbia e vedere la strada. Siate Babbi, (non troppo ma nemmeno troppo pochi) siate Re Magi.

Buon Natale

Manuella

Difficoltà psichiche

Dirotta su Cuba

Il geloso ama molto, però chi non lo è, ama meglio

Molière.

La paura di perdere quella persona. Nasce da li. Come se l’altro fosse un oggetto che ci appartiene, inerte, e che qualcuno potesse strapparcelo dalla nostra pelle. Quando amiamo, il nostro amore è intriso dall’angoscia di perdere quelle sensazioni che proviamo quando i suoi occhi posano sui nostri confini corporei. L’altra persona nel leggere nelle nostre pupille il senso di possesso e di appartenenza, si sente amato. Che cosa buffa. Sentirsi amati perché contenuto dalla paura di un’altra persona.

la gelosia è un grosso contenitore. Attiva comportamenti e pensieri. Anche dannosi. Anche illeciti. Anche oltre. E se fu la gelosia non fui io a commettere un crimine, ma essa stessa che me lo indusse senza che io ebbi forza di resistere.

Una ricerca recente ha messo in luce un’attivazione nell’amigdala, la mia mandorla preferita nel cervello (in realtà sono due, una per ciascun emisfero, e sono piccoli centri delle dimensioni del frutto secco che sono attivamente coinvolte in alcune risposte emotive). Lo studio ha rivelato come si attivassero nei cani quando vedevano il loro padrone dar cibo ad altri cani. Ed è lecito domandarsi se quella fosse gelosia e se quindi si tratti di una normale emozione (se la provano anche i cani, allora quelli strani non siamo noi). Ma siamo sicuri che il cane temesse di perdere l’affetto del padrone e non volesse semplicemente cibo?

la sindrome di Otello, la gelosia delirante che assume le connotazioni di un disturbo delirante. Non ci sono prove che il partner sia infedele, ma la realtà ha poca presa sui pensieri e l’Otello della situazione mette in atto comportamenti devianti, che vanno dallo stalking all’uso di sostanze per arrivare anche alla violenza fisica.

Nella gelosia romantica, l’antecedente, il maledetto attivatore di emozioni, sembra avere a che fare sulla percezione della relazione. Come la rappresentiamo. Come la sentiamo. Cosa ci aspettiamo che ci dia. E li arriva la gelosia. Come violazione delle aspettative.

E tornando indietro nel tempo, dalla nostra storia di vita. Dai modelli. Che come i modellini di carta si prestano a foglio bianco per ritagliare come abito di sartoria la nostra personalità.

Percepita come dolorosa. Come ossessiva. Sento spesso parlare di gelosia buona. Come se esistessero due facce della stessa medaglia. La gelosia, come ogni emozione, racconta qualcosa che con le parole ha poco a che fare. Che fatica a prendere forma nelle lettere ma che diventa qualcosa da tradurre, capire, comprendere e usare. Solo così diventa buona.

benessere

“Di dieci cose fatte, te n’è riuscita mezza, li dove c’è uno strappo, non metti mai una pezza” e di altri modi per non star nel presente

Tornerò alle origini, torno a te che sei per me, l’essenziale.

Marco Mengoni.

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Il passato e il futuro convergono nel presente. È l’unica dimensione in cui viviamo, ma il passato interferisce, a volte intrappolandoci, con conseguenze sullo sviluppare stati depressivi, mentre vivere rilanciati nel futuro può incastrarci in pensieri ansiosi. Il presente è l’unico tempo che viviamo. Ma spesso non lo viviamo. A tal punto che dimentichiamo dove abbiamo parcheggiato la macchina. Perché attiviamo processi automatici che non richiedono la presenza di consapevolezza. Ma questa mancanza di consapevolezza ci fa perdere occasioni e informazioni importanti, ci può portare a quello che consideriamo una naturale distrazione ma che ci fa mettere a rischio i rapporti e la nostra sicurezza. Sviluppare la capacità di essere più consapevoli ci fa vivere meglio, abbandonando stress e ansia.

In che modo posso essere più consapevole? Come posso essere presente e attivo nel mio presente? Allenando quella parte sensoriale della nostra comprensione, che ti tiene ancorati a quello che ci sta accadendo intorno.

Ogni persona può sperimentale esperienza del tempo presente. È un’abilità di base, una dotazione che ci viene data alla nascita e si sviluppa nel tempo, ma che abbiamo un po’ messo da parte, assorbiti completamente dalla percezione del tempo come qualcosa di reale, come se potesse esser fattibile rivivere nel passato (non rivivere il passato) e proiettarci nel futuro.

Aumentare la consapevolezza, diminuisce lo stress, allontana dal passato e dal futuro, allontanando pensieri depressivi e ansiogeni. Vivere contemporaneamente mettendo in atto automatismi e mandando mail e rispondendo ai quesiti sulla vita che ci pongono figli, amici  e compagni, cerando di ricordare dove abbiamo lasciato le chiavi della macchina, ci costa. Ci costa in termini energetici. Perché noi abbiamo una dose di energia cognitiva e la disperdiamo spostandoci continuamente da un compito all’altro, da una soluzione da trovare ad un problema da creare. Ci costa perché produciamo un sacco di cortisolo (che in dosi elevate, non fa proprio bene) ma non ce ne accorgiamo perché ci sentiamo soddisfatti, grazie alla dopamica che maschera con la sua sensazione di gratificazione, lo stress cui ci sottoponiamo.

Il corpo è fisso nel presente ma la mente vaga spesso in quanto è accaduto in precedenza, incastrandosi nei pensieri controfattuali del “come sarebbe andata se”. Siamo attaccati al giudizio. Oppure proiettiamo tutto nel futuro e immaginiamo cosa può accadere di disastroso o difficile da affrontare, e questo crea ansia. Lasciamo il nostro corpo in un posto e andiamo altrove. E in quell’altrove incastriamo il corpo in un stato di malessere.

La depressione sta diventando una malattia che nel tempo è destinata a superare le altre nel corso degli anni in termininumerici. Eppure siamo più ricchi. Eppure abbiamo più cose, ma non abbiamo quello che ci serve per esser felici. O quantomeno, per provare benessere. Perché tutto quello cui siamo sottoposti aumenta lo stress. E lo stress, sebbene non sia una malattia, se protratto ha effetti dannosi sul nostro cervello. E siamo così abituati a stressarci, che lo facciamo costantemente.

Siamo infelici perché ci distraiamo mentre facciamo qualcosa. Non siamo presenti in quello che stiamo facendo. Tutta colpa dei social network. No. Non proprio. Colpa nostra che non riusciamo a stare nel presente, che ci proiettiamo su quello che dobbiamo far poco dopo, che non stiamo nel flusso, che mettiamo troppe cose nel presente.

Spesso siamo anche noi ad aumentare il nostro dolore e la nostra sofferenza con l’ipersensibilità e l’iperreattività verso cose da nulla, e talvolta prendendo le cose troppo personalmente.

Dalai Lama.

Fermati. Respira (e spero tu lo faccia bene). Stacca tutto. Cosa sta accadendo intorno a te? Che odori senti? Che rumori? Cosa stai vedendo?

La dott.ssa Manuella Crini opera nel campo del benessere, fornendo consulenze volte ad identificare cosa ci fa star male e trovare soluzioni adatte a migliorare la qualità della vita.

Pensieri su giornate speciali

Di papà e occhiate severe

Un bambino è un amore diventato visibile.

Novalis.

19 marzo. San Giuseppe. Il papà del figlio di Dio. Quello che si è preso cura di un bambino crescendolo come se fosse suo. Come per ogni festività circolano mille motivi sul perché oggi si debbano festeggiare i papà, ma la storia si basa sulla memoria e la memoria è fallace. Eccome se lo è. Ma poco importa perché sia nata, è importante che ci siano quei giorni in cui spendere un pensiero, per la propria infanzia, per il papà che si è, per il papà che si vorrebbe essere, per il padre che si vorrebbe per i propri figli. Il ruolo del papà è cambiato nel tempo. Il papà autoritario con il quale si minacciavano i figli (guarda che stasera lo dico a tuo padre), quello a cui bastava un’occhiata per zittire un capriccio, quello cui si nascondevano segreti, quella figura lì, si è trasformata. Il papà di oggi è un papà che sa cambiare un pannolino, che si sveglia la notte per preparare il latte, quello che sa se il figlio sta studiano gli Assiri o i Sunniti.

E cosa è cambiato nei figli di questi papà? Si può sopravvivere senza una figura paterna in grado di trasmettere regole e forza con autorità? Si. Al bambino serve amore. Questo è stato dimostrato con un esperimento che ora sarebbe irripetibile perché siamo diventati forse un po’ più umani. Piccole scimmie appena nate venivano tolte alla mamma e messe in una gabbia dove era presente un surrogato caldo (un peluche) e un surrogato freddo ma con vicino del cibo. Ora che vi siete inteneriti, vi lascio immaginare la scelta delle piccole scimmie. Il surrogato caldo. Perché un bimbo, ha bisogno di amore. È un bisogno primario, una base su cui crescere. Una base dalla quale si può partire e nella quale entrano in gioco regole e moralità.

I papà di oggi assomigliano meno al papà freddo nelle stampe di un tempo che diventa sempre più lontano. E assomigliano sempre di più al caregiver di cui il figlio ha davvero bisogno.

Essere papà è difficile tanto quanto essere mamma. Sono ruoli complessi, che prevedono l’espletamento di tante funzioni. Il manuale del perfetto genitore non esiste. Perché non si chiede di esser perfetto. Ma sufficientemente buono.

La dott.ssa Manuella Crini si occupa di sostegno alla genitorialitá

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La metà della mela #pensieriallacaffeina

 

Tra tutte le persone sei la sola che colma perfettamente lo spazio che ho tra le dita

Mr. Rain

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Chissà come venne in mente a Platone che la luna avesse caratteristiche sia del Sole che della Terra e che avesse generato un Ermafrodita. Un essere a 8 zampe, completo di entrambi gli organi genitali che si muoveva facendo capriole ed era arrogante, così tanto da sfidare gli Dei che decisero di tagliarlo a metà. Una metà maschile e una femminile, destinata a rincorrersi per cercare di unirsi di nuovo. Ed ecco che l’amore, quella ricerca costante della propria metà sembra essere l’unico modo per sanare un essere vivente ferito e mutilato nella sua perfezione. Eros promette felicità e guarigione.

La ferita che costantemente ci dovrebbe ricordare che siamo incompleti è l’ombelico. Quel piccolo foro sul ventre, posto appositamente dove lo si potesse vedere per tener a bada l’arroganza. Si. Siamo stati separati da qualcuno, e il taglio netto con quella persona è avvenuto proprio in quel punto. Ma non era una metà della mela.

Siamo nati interi. Con l’enorme potenziale di poter essere felici. Abbiamo una produzione integrata di endorfine, dopamina, adrenalina, serotonina. E allora da dove nasce questa ricerca dell’amore come promessa di felicità e guarigione? Perché ci sentiamo completi quando troviamo la persona che colma perfettamente lo spazio tra le dita?

L’amore crea una dipendenza, forse è una delle sostanza che crea maggior dipendenza. Hai bisogno di vedere quella persona, vai in astinenza se non la vedi e le ricadute sono elevatissime. L’amore ha una forza incredibile sul nostro cervello, fino a spegnere la paura.

Siamo esseri completi, pensanti, creativi, ci siamo trascinati per secoli i miti che ci piacevano di più fino a farli entrare nel DNA. Quella sensazione di completezza stringendo la mano della persona amata, è un gioco di neurotrasmettitori che ci fa credere che sia così, che quella persona sia legata a noi con un filo rosso. Quando creiamo con quella persona un progetto di vita insieme e siamo disposti a scendere a compromessi con quella dipendenza, che diventerà altro, ma altrettanto forte, abbiamo trovato il giusto posto dove incastrare la nostra interezza.

 

La dott.ssa Manuella Crini si occupa di percorsi di sostegno psicologico relativi alle problematiche affettive e relazionali, sia individuali che con la coppia.

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dove nascono i legami affettivi #pensieriallacaffeina

I legami affettivi iniziano a costruirsi quando inizi ad immaginarli. Siamo così strani che ci basta formare l’idea di qualcosa che già riusciamo ad appiccicarci un’emozione sopra

 

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Quando si forma il legame con il proprio figlio? Inizia prima che inizi a respirare una volta fuori dall’utero. Inizia prima che inizi a scalciare dentro la pancia facendo sentire tutta la sua forza e il suo carattere. Inizia quando iniziamo a pensarlo. Conosciamo molto dei legami affettivi e della loro importanza nello sviluppo del benessere dei figli, rapporto che prende sostanza quando possiamo guardarli e che non sono più legati al nostro corpo. Iniziamo a conoscere molte cose anche di come l’idea che i genitori si fanno del bambino influenzerà quel legame nel tempo. E’ una relazione? In una relazione si è in due, qui è “solo” la mamma che pensa il suo bambino, gli attribuisce sentimenti, emozioni e sensazioni. Forse non è la relazione classica. Ma è un precursore molto importante

 

La dott.ssa Manuella Crini si occupa di sostegno alla genitorialità, in ogni suo aspetto, fornendo un sostegno in ogni tappa del percorso che ci porta ad essere genitori