benessere

10 personaggi in cerca di psicologo

Il mio tributo a Bergamo passa attraverso questo. Attraverso i miei studenti che hanno lavorato a lungo sulla psiche di personaggi che tutti conosciamo. Quando ho chiesto loro di svolgere questo  lavoro, eravamo ben mentalmente lontani dal sars-cov-2 e dal Covid-2019. Ma in realtà era gennaio. Quanto è bizzarro il tempo che passa dalla mente. Brevi racconti, brevi spunti, tratti dai loro eccellenti lavori. Futuri psicologi all’opera, che ringrazio per avermi fatto divertire, riflettere ma soprattutto evocare dubbi. Perché sono i dubbi il mio costante motore verso un punto meno dubbioso.

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Secondo quanto emerso dalle sedute e dalle scale utilizzate con il signor Jack Sparrow posso ipotizzare la seguente analisi psicologica: il soggetto esprime una personalità di tipo collerico e sanguigno. Si può intuire fosse un bambino definito autonomo e indipendente, forse troppo, appare infatti un adulto diffidente. Giustificherebbe il suo modo di essere e di fare, i dubbi e le titubanze che non riesce a smettere di avere nel momento in cui si relaziona con un nuovo personaggio. Il paziente presenta un disturbo narcisistico di personalità, caratterizzato da: senso grandioso di importanza, richiesta di eccessiva ammirazione, sfruttamento per i propri scopi di rapporti interpersonali, mancanza di empatia, comportamenti spesso arroganti e presuntuosi.
Si consigliano ulteriori approfondimenti. 

Joker possiede una personalità frantumata a causa delle sue precoci esperienze di vita.Come se fosse privo di un’adeguata mappa con cui muoversi nel mondo relazionale. Siamo giunti a questa conclusione dopo aver, sottoposto il paziente ai test MMPI-II e EPQ, i cui risultati sono riportati in allegato. In particolare i risultati indicano lo sviluppo di una patologia con importanti riflessi di natura psicosociale e psicotico e, nello specifico, descrivono un soggetto che: incontra difficoltà nell’interiorizzare regole sociali, dimostra una carenza di controllo sulle risposte emotive, tende a valutare l’isolamento affettivo, tende ad agire d’impulso e assumere spesso atteggiamenti aggressivi ed è incapace di provare rimorso.  Joker è un soggetto che si affida maggiormente all’intuizione, coglie a livello inconscio le possibilità latenti di una situazione senza tenere conto del presente, mirando principalmente agli sviluppi futuri, è inoltre molto attivo e inquieto e necessita di molti stimoli di varia natura, e in particolare non ha molto a cuore il benessere di chi gli sta attorno. Si può affermare che Joker sia dominato pienamente dall’Es, egli ricerca infatti il piacere a tutti i costi, la soddisfazione dei propri istinti, utilizzando per questi suoi fini talvolta una grande aggressività. Fino a diventare assassino.

Da un punto di vista fisiologico e genetico, Kretschmer avrebbe definito Homer Simpson un  Ciclotimico , in quanto tendente all’obesità e ad altre caratteristiche.  Ad esempio presenta una tonalità psichica che oscilla dall’eccitazione alla depressione o dall’allegria alla tristezza, che essendo limitata fa sì che il soggetto preferisca lavori poco faticosi, compiuti con infedeltà; inoltre, presenta una scarsa tendenza alle passioni sebbene ci sia una continua ricerca di compagnia e un limitato controllo di se. Infine presenta un comportamento in genere spavaldo, entusiasta, agitato, con uno scarso autodominio e una tendenza a parlare piuttosto che ascoltare. I ricordi più vivi di Homer sono l’abbandono da parte della madre e la sua conseguente crescita con il padre in un ambiente vuoto e privo di affetto. Egli, infatti, riporta un episodio in cui il padre ha rivelato che il suo concepimento è stato un incidente e che se non fosse avvenuto sarebbe stato tutto più semplice. Questi sono stati eventi molto significativi, situazioni di disagio e privazione che potrebbero non aver portato necessariamente ad un danno psicologico ma comunque hanno permesso lo sviluppo di uno stato di instabilità psichica. 

Secondo il modello di John Bowlby, Lisa Simpson potrebbe rappresentare la categoria di bambino evitante. La paziente sembra essere stata privata delle cure materne, principalmente di quelle psicologiche, che l’hanno segnata a livello emotivo. La sua personalità appare determinata dall’insensibilità della madre verso i suoi segnali di bisogno. Più precisamente, la madre sembra non comprendere i reali bisogni psicologici ed emotivi della paziente, concentrandosi unicamente su quelli biologici. Infine, la paziente ha un’immagine generalmente negativa degli altri, che considera inaffidabili e poco disponibili. Utilizzando la terminologia di Jung, Lisa rappresenta le caratteristiche del tipo riflessivo- introverso : non si adatta però alla società per volontà sua e non per difetti caratteriali; è piuttosto solitaria, ma perché non ha attorno persone simili a lei con cui confrontarsi, condividere idee e comprendersi vicendevolmente. Lisa infatti è una persona che tende a trovare la logica di qualsiasi situazione le si presenti, deve trovare il motivo scientifico per ogni avvenimento, è intelligente e puntigliosa, inoltre tende a giudicare il valore positivo o negativo di ciò che si trova davanti ed è estremamente razionale. La famiglia di Lisa e la società sono doppiamente ciechi perché non sanno guardare a fondo né se stessi né l’unicità e la bellezza di Lisa, la quale al contrario presenta entrambe le capacità di sguardo: sia quella verso se stessa che quella nei confronti degli altri. Lisa è testimone sia delle vite altrui vissute senza mordente sia del proprio valore e della propria voce fuori dal coro.  

Focalizzandoci sull’idea di Bowlby ,che trova la base dello sviluppo dell’IO e della sua personalità nei legami relazionali, in particolare con la madre durante i primi due anni di vita, si può immaginare e ragionare sulla possibile relazione di Winnie the Pooh con la madre. Quest’ultima potrebbe essere stata una madre con molti comportamenti contraddittori, pochi affettuosi e con scarse capacità di contenimento, poiché Winnie mostra tendenze di attaccamento verso l’altro -nel quale ricerca conforto- e prova un senso o paura di abbandono e separazione. La personalità sembra essersi sviluppata a livello nevrotico con vari meccanismi di difesa, come lo spostamento di sentimenti inaccettabili sul miele, conseguendo in una vera e propria ossessione per l’alimento. Inoltre sembra intellettualizare queste sue pulsioni per il cibo e per ciò che sarebbe disposto a fare per averne, dandosi spiegazioni che per quanto siano evidentemente illogiche, lui accetta come razionali. Viene riferito che è capitato più volte che questi suoi comportamenti l’abbiano portato a situazioni estreme e pericolose, manifestando una tendenza a difendersi con tecniche di rovesciamento, minimizzando la gravità delle minacce a cui è andato incontro. Inoltre si può ipotizzare un deficit d’ attenzione, sottotipo disattento e un problema alimentare, quale l’obesità, aggravato dalla già instabile salute mentale. 

Si può supporre che Alice soffra di disturbi del sè, si ipotizza soffra di disturbo schizotipico di personalità, dato da convinzioni strane, pensiero magico, paranoie, comportamenti eccentrici e ansia sociale. Si ipotizza inoltre un disturbo della personalità multipla, conseguente a discontinuità della normale integrazione della coscienza, memoria, identità emotiva e percezione. Il trauma emotivo alla base di questo disturbo dissociativo potrebbe essere la perdita del padre. Come ipotesi di trattamento della paziente sono indicati sia l’ EMDR, modalità terapeutica basta sull’elaborazione di ricordi,  e la terapia cognitivo comportamentale in cui si modificano le credenze disfunzionali dalle quali originano le patologie. Alice è quasi perennemente in stato d’ansia, allarme, panico, ossessionata. È da valutarsi anche una presenza di schizofrenia se si intende la creazione del paese delle meraviglie come un luogo in cui trovare conforto in risposta ad un isolamento affettivo (ipotesi meno probabile). È inoltre affetta da ipomania: il suo stato di eccitamento e in seguito di disforia sono senza dubbio oltre i normali limiti (anche se bisogna pur sempre tener conto che le risposte emotive dei bambini sono di norma più esagerate rispetto a quelle degli adulti). Alice ha portato ad ipotizzare  l’esistenza della sindrome di Todd, da colui che l’ha studiata per primo, ovvero un particolare disturbo che porta chi ne soffre ad avere una percezione visiva bizzarra, i pazienti possono essere anche soggetti ad elopsia, un disturbo neurologico della vista che fa vedere gli oggetti molto più lontani di quanto non siano in realtà; o anche alla micropsia, che fa vedere gli oggetti ed alcune parti del corpo sembrano molto più piccoli.

La difficoltà a relazionarsi di Sherlock Holmes, viene confermata da un’auto-diagnosi del soggetto stesso, il quale si definisce un sociopatico-interattivo, ovvero incapace di conformarsi al comportamento sancito dalla legge, poco attento ai bisogni altrui, incapace di riconoscere le proprie e le altrui emozioni e di provare rimorso. L’estrema razionalità e la visione oggettiva del mondo esterno sono però controbilanciate da un malessere interno che trova sfogo nell’amore per la bella vita e nell’abuso di sostanze psicotrope. L’ instabilità caratteriale unita ad atteggiamenti e comportamenti tipicamente antisociali come il frequente ricorso all’uso di menzogne, la noncuranza della propria e altrui sicurezza, l’irresponsabilità abituale in diversi contesti, l’uso di droghe come accennato precedentemente, la mancanza di rimorso e soprattutto l’incapacità di conformarsi alle norme sociali, ci porta a inserirlo nei soggetti affetti da disturbo sociale. Un’altra tipologia di disturbo riscontrabile nel soggetto è il disturbo narcisistico di personalità: l’individuo presenta sintomi quali grandiosità di sé stesso, fantasie di successo illimitato, richiesta eccessiva di ammirazione per le sue qualità, sfruttamento degli altri, sentimenti di disprezzo ed arroganza. Il Sig.r Holmes è inoltre caratterizzato da stranezza comportamentale e dal ritiro emozionale.

Possiamo affermare che Paperino sia rimasto alla fase fallica, non superando il complesso di Edipo: egli infatti, nonostante sia stato abbandonato dalla madre Ortensia dé Paperoni, la cui scomparsa non è mai stata confermata, prova un grande rispetto ed un profondo amore per la donna; stessa situazione non può essere vista nel rapporto con Zio Paperone, che funge quasi da padre nella vita di Paperino, con il quale il personaggio ha una burrascosa relazione causata dall’idea di fannullone che lo zio associa al nipote.

Infine, se Bruce Wayne si sedesse sulla poltrona del mio ipotetico studio, dopo una serie di colloqui semi-strutturati, scoprirei che all’età di 8 anni, assistette all’assassinio dei suoi genitori. Questo evento condizionò profondamente il suo approccio alla vita e la sua visione del mondo.  Per far fronte a questo profondo sentimento di dolore, Bruce costruì un alter-ego, Batman: un pipistrello gigante che spaventa i criminali della sua città. Penso di aver raccolto sufficienti informazioni per supporre che vi sia un disturbo di personalità; DSM alla mano, lo sfoglio e mi imbatto nel Disturbo dissociativo di personalità. Mi vengono dubbi. L’uomo pipistrello nonostante sia caratterizzato da alcuni tratti riconducibili a diversi disturbi della personalità è impossibile definirne uno in particolare (anche a causa delle diverse trasposizioni che ha avuto nella storia del cinema e del fumetto), e Batman potrebbe non essere una personalità distinta ma la risultante finale del vissuto di Bruce. L’empatia è ciò che lo ha spinto a indirizzare verso il bene tutti i suoi disagi interiori e i suoi traumi, e a proteggere i deboli per evitare che anche loro soffrano come ha sofferto lui, perché per quanto da fuori possa sembrare freddo e spietato dentro di sé nasconde un cuore grande, quello del “piccolo Bruce”. 

 

In ordine sparso i futuri psicologi. Della splendida Università degli Studi di Bergamo, cui sono vicina, con il cervello, perché il cuore, alla fine, pompa sangue.

Grazie

Marta Quartarone, Beatrice Carini, Greta Redaelli, Samuele Schettini, Chiara Raggi, Alessandra Tarterini, Elena Bacchetti, Sara Fedeli, Chiara Bonfanti, Yasmin Sbai, Gaia Cortada, Aurora di Criscito, Villanova Chiara, Federica Lombino, Viola Paratico, Alessia Moroni, Carla Ascente, Davide Masi, Giada Mazzei, Matilde Castelletti, Luca Marino, Lisa Calzi Jacopo piovan, Nicole Bettoni

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Fiumi di parole e bambini capricciosi

Un attacco di capricci è un’esplosione emotiva straripante che avviene quando il vostro bambino sente di aver perso il controllo. È la dimostrazione pratica di ciò che vostro figlio prova in quel momento: caos, confusione e sconforto. Quasi sempre i capricci si verificano quando lui si trova con la persona che ama di più, cioè voi. Ma, dopo tutto, sapevate già che essere genitori è difficile! Penney Hames

 

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Neuroplasticità. Plastica. Riciclo.

Inevitabile attivare libere associazioni, il cervello è automatico, risparmiatore, produttore, inventore di idee nuove riciclando quelle vecchie. Noi lo siamo, cogito ergo sum o sum ergo cogito. Uova e Gallina. Brodo. Influenza, coccole. Cura. Affetto.

Tutto nasce dalle modalità di caregiving. Che è una parola così bella che non voglio tradurre. Tutte le nostre connessioni dipendono da come l’altro ci contiene. Dalle esperienza che ci fa fare. Dalla nascita fino a circa i primi due anni anni vita. Ma poi non finisce li, il nostro cervello è caratterizzato dalla neuroplasticità, necessita di integrazioni continue e costanti per mantenersi flessibile.

Il cervello è un organo complesso che si occupa di tante cose, ma riducendo un po’ la sua complessità per infilarlo in un fiume di parole su uno schermo bianco, posso raccontarvi che la prima grande frattura è tra emisfero destro e sinistro. Il primo, quello destro, è molto emotivo, capriccioso a volte mentre quello sinistro è logico razionale, freddo a tratti.

Coordinare tutto il corpo è impresa difficile, ma anche coordinare tutte le funzioni del cervello è altrettanto impegnativo. Nel bambino accadono entrambe le cose in modo quasi contemporaneo. Affina il corpo e mette insieme funzioni cerebrali che sta conoscendo piano piano. E nel far questo si scontra spesso con l’Adulto, essere mitologico che ha già più o meno integrato il suo modo di pensare, di essere, ed è un Io fatto e finito. Ma quell’essere mitologico si trova spiazzato di fronte ad una richiesta che appare un capriccio che appare provocazione da parte di quell’essere minuscolo alto due mele o poco più, fortunatamente rosaceo e non di un colore tendente all’azzurrino che ci spiazza e ci fa arrabbiare perché non comprende la maestosa logica che caratterizza l’essere mitologico.

Nella complessità individuale ci troviamo immersi anche in quella relazionale, con un effetto a volte devastante sulla comunicazione, soprattutto in quella con i bambini. Saper riconoscer quale emisfero sta usando il bambino per comunicare con noi, ci permette di sintonizzarci sullo stessa modalità, entrare in contatto, aprire nuovi canali e capire il significato profondo di quanto ci comunica. Molte parole per dire che dietro ad un capriccio o a un comportamento apparentemente provocatorio, si nasconde un mondo, e per entrarci la chiave è la sintonizzazione. E il più delle volte a parlare è l’emisfero destro del bambino mentre quello dell’adulto è quello sinistro. Logico. Freddo. Calcolatore.

Proviamo ad entrare in contatto con il nostro emisfero destro, sciogliamoci, usiamo i canali non verbali, apriamo quella porta che ci permette il toccar con mano metaforica quanto sta esperendo, diamo un nome alla sua emozione, facciamola nostra.

Si, ma in pratica, che devo fare? 

Fermare comportamenti pericolosi per sé e per gli altri, quello sempre, ma laddove non ci sia la pericolosità ma solo un imponente NO davanti ad un “lavati i denti” è trovare la chiave giusta. In quelle due lettere ci sono tantissime cose che noi tentiamo di smontare in maniera improduttiva con minacce di privazioni di cibo di sonno di playstation televisioni con minacce più o meno reali di denti che cadono e dentiere messe su già a 10 anni. Ma resta un NO. Non esiste la soluzione magica per tutti, ma in generale ci sono alcune strade che val la pena tentare percorrere. Da quella di far diventare il momento dei denti un gioco, una sfida, un ballo scatenato davanti allo specchio con uno spazzolino microfono che pulisce via e combatte i mostri che si insediano tra i canini, alla comprensione della sua brutta giornata perché ha litigato con l’amico e sfoga come riesce le sue frustrazioni, passando quindi alla fisicità, all’abbraccio, alla comprensione e denominazione dello stato emotivo che sta vivendo il bambino. E non ho usato la parola “amichetto” in modo voluto. Perché sminuirei la portata del suo dolore. E la comprensione del suo dolore, la sintonizzazione emisferica di cui sopra, è importante. Capire il dolore, non negarlo, accettato, condividerlo, abbracciarlo. Creare la calma nella quale si può spiegare che i denti se non si lavano si rovinano nel tempo. Ma magari lo facciamo insieme. Perché aumentiamo il tempo passato insieme in maniera piacevole. Cosi’ che avrà un bel ricordo da grande delle esperienze relazionali, le troverà gratificanti. Dopaminergiche.

Fare il genitore è difficile. Mal comune mezzo gaudio. Sorriso. Mia figlia che ride. Chiudo il cerchio e far il genitore è difficile ma è la cosa più bella che mi sia mai capitata. E ho il potere di renderla anche un’esperienza piena di vita. Felice.

Adesso basta. Se avete dubbi, sono qui, in qualsiasi recapito troviate nella mia home page. Se non mi trovate è perché dalla neuroplasticità all’oddio mi sono dimenticata di differenziare la plastica, è stato un attimo. Una sinapsi.

 

 

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Vivere in slow motion

C’era una lumaca che, pur accettando una  vita lenta, molto lenta, e tutta sussurri, voleva conoscere i motivi della lentezza. Luis Sepúlveda

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Era li da sempre, solo che non l’avevo mai vista. E’ una piccola edicola con un disegno che si sta sbiadendo. Racconta la storia di due fratelli salvati dalle acque di un fiume da una donna bellissima. Credo sia incastrata nel cemento e nelle pietre da almeno 60 anni. Semplicemente, non l’ho mai notata. Passiamo di fretta davanti alla vita. La sfioriamo e non dinamo nemmeno ai nostri sensi il tempo di attivarsi, di registrare un evento. Corriamo oltre. Eppure insegno questo. Insegno ad esser lumache nel nostro tempo, a dar ascolto al nostro respiro, a provare a sentire quel battito che porta ossigeno ovunque, ad esser così accorti a quello che ci accade intorno da poter vivere la vita ora. Non ieri. Non domani. Ma farla collassare nel presente.

Camminiamo ogni sabato mattina. Chiacchieriamo, respiriamo, ci concentriamo sul presente. Quel piccolo percorso interiore che sto insegnando, ha avuto la meglio anche su di me. Ho imparato dopo quasi 100km ad esser lumaca sulla mia strada del ritorno.

E’ stato un momento di riscoperta di me, nel veder la mia fallacia dipinta. Ma possiamo esser imparare a esser lenti. A non andar sempre di corsa con il pensiero, perché le gambe possono anche andare, ma il pensiero deve rallentare, deve smettere di essere multipensiero, deve frenare all’improvviso e guardarsi intorno.

E’ solo un’edicola. Una piccola costruzione votiva. Ma chissà quante cose ci sfuggono, quel sopracciglio alzato del nostro interlocutore, quella persona che tenta con il suo sorriso di iniziare una conversazione con noi, quel piccolo dolore alla base del collo che sta urlando qualcosa. Ma il pensiero è più veloce delle gambe ed è già a cena. Tira il freno, respira, guardati intorno. Scopri la tua vita.

 

La dottoressa Manuella Crini collabora con il centro Be-Good e promuove camminate consapevoli ogni sabato mattina. Per info 01431431900

#pensieriallacaffeina, benessere

che stress!

strictus. stretto. angusto. serrato.

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Che vita sarebbe senza lo stress? Non sarebbe vita. Siamo abituati a pensare che sia una patologia, qualcosa di cui liberarsi, qualcosa che di per sé sia dannoso e faccia male. Ma lo stress è quel qualche cosa che mette in moto l’organismo, che ci fa alzare dal divano e reagire. Un qualche evento esterno causa una reazione a catena di sostanze (le solite droghe a km 0) che mettono in moto l’organismo. Quella roba per cui riesci preparare un esame in una settimana e non dormi la notte per arrivare all’obiettivo, riesci a preparare una cena con 4 ingredienti in frigo, che Cracco spostati o vieni a cena che te la faccio vedere io.

Lo stress è il prodotto di un atto cognitivo. La valutazione. Daniel Goleman.

Allora perchè essere stressati fa così male? Perché non siamo fatti per essere sempre attivi e reattivi e in multitasking. Se prolunghiamo quello stato per un tempo lungo, le stesse sostanze come le catecolamine che ci davano la spinta per raggiungere traguardi, diventano veleno. Ci intossicano. Così tanto che il nostro ippocampo, quel piccolo centro nel cervello, si riduce piano piano, smette di formare nuove memorie. Il nostro sistema immunitario non funziona più al suo meglio. Ci ammaliamo. Non di stress, ma di raffreddori e  tutte quelle altre robe poco simpatiche che i virus trascinano con loro.

Quindi si parla di eustress quando lo stress non fa danno, anzi, ci fa funzionare bene e diretti allo scopo. Che cosa differenzia l’eustress dallo stress quello malvagio? Il modo in cui lo viviamo. Dal valore che stiamo dando a quello stimolo che abbiamo davanti. Valore che a sua volta dipende da chi siamo noi, dalla nostra storia di vita e dal nostro passato. Imparare a gestire lo stress, a modulare gli eventi esterni, la nostra risposta, beh, quello si che è un buon modo di cercare il benessere.

Come fare? Ci sono molti modi, A me piace molto accostare strategie di ridefinizione degli obiettivi a tecniche di rilassamento, in modo da essere allenata ad affrontare le sfide.Le tecniche di rilassamento, figlie di discipline orientali e studi, sono un buon modo per rifocalizzarsi sul sé e riorganizzare gli obiettivi permette di avere una strategia cui ancorarsi evitando le insidie della nostra società, ansia e stress (quello cattivo).

La dott.ssa Manuella Crini collabora con  Be-good Wellness Academy per promuovere il benessere in un’ottica integrata che consideri anche il soma.

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“Di dieci cose fatte, te n’è riuscita mezza, li dove c’è uno strappo, non metti mai una pezza” e di altri modi per non star nel presente

Tornerò alle origini, torno a te che sei per me, l’essenziale.

Marco Mengoni.

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Il passato e il futuro convergono nel presente. È l’unica dimensione in cui viviamo, ma il passato interferisce, a volte intrappolandoci, con conseguenze sullo sviluppare stati depressivi, mentre vivere rilanciati nel futuro può incastrarci in pensieri ansiosi. Il presente è l’unico tempo che viviamo. Ma spesso non lo viviamo. A tal punto che dimentichiamo dove abbiamo parcheggiato la macchina. Perché attiviamo processi automatici che non richiedono la presenza di consapevolezza. Ma questa mancanza di consapevolezza ci fa perdere occasioni e informazioni importanti, ci può portare a quello che consideriamo una naturale distrazione ma che ci fa mettere a rischio i rapporti e la nostra sicurezza. Sviluppare la capacità di essere più consapevoli ci fa vivere meglio, abbandonando stress e ansia.

In che modo posso essere più consapevole? Come posso essere presente e attivo nel mio presente? Allenando quella parte sensoriale della nostra comprensione, che ti tiene ancorati a quello che ci sta accadendo intorno.

Ogni persona può sperimentale esperienza del tempo presente. È un’abilità di base, una dotazione che ci viene data alla nascita e si sviluppa nel tempo, ma che abbiamo un po’ messo da parte, assorbiti completamente dalla percezione del tempo come qualcosa di reale, come se potesse esser fattibile rivivere nel passato (non rivivere il passato) e proiettarci nel futuro.

Aumentare la consapevolezza, diminuisce lo stress, allontana dal passato e dal futuro, allontanando pensieri depressivi e ansiogeni. Vivere contemporaneamente mettendo in atto automatismi e mandando mail e rispondendo ai quesiti sulla vita che ci pongono figli, amici  e compagni, cerando di ricordare dove abbiamo lasciato le chiavi della macchina, ci costa. Ci costa in termini energetici. Perché noi abbiamo una dose di energia cognitiva e la disperdiamo spostandoci continuamente da un compito all’altro, da una soluzione da trovare ad un problema da creare. Ci costa perché produciamo un sacco di cortisolo (che in dosi elevate, non fa proprio bene) ma non ce ne accorgiamo perché ci sentiamo soddisfatti, grazie alla dopamica che maschera con la sua sensazione di gratificazione, lo stress cui ci sottoponiamo.

Il corpo è fisso nel presente ma la mente vaga spesso in quanto è accaduto in precedenza, incastrandosi nei pensieri controfattuali del “come sarebbe andata se”. Siamo attaccati al giudizio. Oppure proiettiamo tutto nel futuro e immaginiamo cosa può accadere di disastroso o difficile da affrontare, e questo crea ansia. Lasciamo il nostro corpo in un posto e andiamo altrove. E in quell’altrove incastriamo il corpo in un stato di malessere.

La depressione sta diventando una malattia che nel tempo è destinata a superare le altre nel corso degli anni in termininumerici. Eppure siamo più ricchi. Eppure abbiamo più cose, ma non abbiamo quello che ci serve per esser felici. O quantomeno, per provare benessere. Perché tutto quello cui siamo sottoposti aumenta lo stress. E lo stress, sebbene non sia una malattia, se protratto ha effetti dannosi sul nostro cervello. E siamo così abituati a stressarci, che lo facciamo costantemente.

Siamo infelici perché ci distraiamo mentre facciamo qualcosa. Non siamo presenti in quello che stiamo facendo. Tutta colpa dei social network. No. Non proprio. Colpa nostra che non riusciamo a stare nel presente, che ci proiettiamo su quello che dobbiamo far poco dopo, che non stiamo nel flusso, che mettiamo troppe cose nel presente.

Spesso siamo anche noi ad aumentare il nostro dolore e la nostra sofferenza con l’ipersensibilità e l’iperreattività verso cose da nulla, e talvolta prendendo le cose troppo personalmente.

Dalai Lama.

Fermati. Respira (e spero tu lo faccia bene). Stacca tutto. Cosa sta accadendo intorno a te? Che odori senti? Che rumori? Cosa stai vedendo?

La dott.ssa Manuella Crini opera nel campo del benessere, fornendo consulenze volte ad identificare cosa ci fa star male e trovare soluzioni adatte a migliorare la qualità della vita.

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chissà dove sto andando quando corro

Correre è lo spazio aperto dove vanno a giocare i pensieri.
Mark Rowlands.

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Ho scoperto quanto mi stiano bene le scarpe da corsa ai piedi, per caso. Ma sebbene non creda  al caso, non penso sia stata causale la scoperta. Dove i pensieri si fanno complessi e difficili da tradurre, il corpo semplifica tutto con richieste più semplici, che ci fanno star meglio. Non hai capito  nulla di quanto hai letto e capisco, sono i pensieri complicati di cui sopra che spiegherei in modo molto semplice portandoti a correre con me. Ho preso confidenza con i chilometri e con il buio e con il freddo, lentamente, sono stata giorni a lamentarmi dei dolori alle gambe ma giorno dopo giorno, la corsa è diventata parte di me. Ho amato la corsa come si ama qualcosa che ti accorgi che mancava nella tua vita. Nella corsa, ho sempre ascoltato il mio corpo. Ho rallentato quando me lo chiedeva, ho accelerato quando volevo provare i mie limiti. Ma dove vado quando sto correndo? Apparentemente da nessuna parte. Parto con il mio bagaglio di pensieri, a volte di stanchezza, alzo la musica e vado. Sto andando a sentirmi  meglio, e lo sto facendo portando insieme a me molte persone, i loro pensieri, i miei problemi, perché nemmeno io sono immune. Vado a sbrogliare una matassa. E il pensiero corre con me, e sbroglia più matasse di quelle che sbroglierei stando sulla poltrona con i miei appunti. Questo perché nel mio corpo succedono le magie mentre corro. I topi che corrono riescono a combattere le neurotossine che provocherebbero un deterioramento cerebrale (e questo apre le piste ai trattamenti di tutti quei sistemi che vanno incontro ad una degenerazione dei sistemi dopaminergici, come il Parkinson), perché durante l’allenamento (anche i topini nel loro piccolo si allenano) accade qualcosa per cui le neurotossine non hanno più nessun effetto inibitore sulla dopamina che continua a far il suo sporco lavoro in barba al tentativo di degenerazione.  L’allenamento aerobico funziona come il Prozac, facendo si che nel corpo circoli più serotonina. E la serotonina, nel giusto equilibrio, è alla base dello star bene. Inoltre la corsa fa bene anche all’ippocampo.  E non parlo del cavalluccio marino, ma di una di una piccola struttura cerebrale che ha il ruolo delicato di lavorare con la memoria. La corsa stimola la produzione di cellule staminali. E immaginate che accade ad una struttura deputata alla memoria che si rigenera e funziona come quando eravamo giovani. Più giovani. Non ho detto che sei vecchio, solo che sei più vecchio di quando eri più giovane.  La corsa fa rilasciare anche endorfine, che contribuiscono alla sensazione di benessere. Correre fa invertire il processo di invecchiamento. Va contro quanto scritto nei geni impigriti e aumenta la plasticità, delle connessioni e del pensiero. Serve tempo per ottenere questi benefici, ma nel tempo in cui la zucca si trasforma in carrozza, il mio cervello è vivo e attivo più di un lattobacillo dello yogurt, e mi permette di soluzione tantissime cose.

Ho sempre saputo che il movimento facesse bene, mens sana in corpore sano, così come ho sempre (sempre no, lo sapevo quando ero bambina in realtà, poi crescendo l’ho scordato e poi leggere Damasio me lo ha fatto ricordare) che siamo una cosa sola, che la mente e il corpo sono talmente interdipendenti che i confini tra loro sono sfumati. Credo sia stato quello il caso con cui ho scoperto la corsa. La sensazione di  troppi pensieri da mettere in ordine e la spinta a riequilibrare i miei umori (Ippocrate, scusami, ma la tua influenza nonostante più di 2000 anni, ancora si fa sentire), credo sia stato questo il mio motore. Come se il mio corpo ricordasse, per via di qualche memoria somatica, come si sentiva dopo una corsa e avesse giocato a mandarmi segnali inconsci alla coscienza, finche una mattina ho ceduto e ho detto: “vado”.

Quante cose mi porto dietro quando corro. Mi sembra di uscire nuda. Mi sembra di uscire leggera. In realtà parto appesantita da tutti i pensieri che si attorcigliano nella testa. Ma torno a casa leggera. Torno a casa felice. Torno a casa stanca. Torno a casa con una matassa di pensieri sbrogliati perché tutto quello che il mio corpo ha prodotto è una buona base non solo per sentirmi meglio, ma è funzionale anche al ragionamento, e riesco ad affrontare meglio tutto.

Ho imparato molte cose correndo. Conosco meglio il mio battito cardiaco, conosco il momento in cui il mio corpo sta cambiando e io inizio a sorridere guardando tutto quello che ho intorno, che sia neve pioggia, sole, fiori, mare, città. Ho conosciuto la pazienza. Ho conosciuto il gusto di un piccolo traguardo, so di  me come mi comporto quando lo vedo vicino, perché conosco la mia risposta.

Correre un’ora al giorno, e garantirmi così un intervallo di silenzio tutto mio, è indispensabile alla mia salute mentale.
Haruki Murakami.

Correre fa stare  meglio. Indipendentemente dalla durata e dall’intensità dell’allenamento, ci sono effetti benefici importanti. Nel tempo anche questa modalità naturale di autoproduzione di sostanze benefiche dà assuefazione, cioè nel tempo gli effetti benefici si sentono meno. Ma usando lo straordinario potere della mente possiamo , attraverso le attese, spostando il focus dell’attenzione tra interno (il respiro, il battito) e esterno (musica, panorama), ridare vita a quella sensazione che altro no è che una questione soggettiva e individuale.

Correre non piace a tutti. E questo fa parte della estrema variabilità che caratterizza la razza umana. Lo star bene che io sento durante e dopo la corsa, non sarà mai lo stesso sentire di qualcun altro. Quello che accade a livello cerebrale, sarà simile. Quindi prova. Senza sapere dove stai andando. Lo scoprirai nel movimento. Ci saranno volte in cui vorrai andare lontano da te il più possibile, altre in cui correrai per raggiungerti. Ho imparato anche a chiedermi questo quando chiudo la porta di casa: “dove vado oggi?” e la risposta non è mai solo il luogo che attraverso correndo.

(Oggi sono andata nella primavera. Ho lasciato indietro una brutta sensazione che da giorni mi stava appiccicata, ed è accaduto alla seconda curva, ad un certo punto non c’era più. Ricordo di essere andata un giorno a cercare le rane, perché con i loro rumori tranquillizzano il mio respiro. E tante volte vado dove posso esprimere tutte le mie emozioni, lasciandole uscire, accogliendole, rispettandole. Chissà tu dove andrai)

La dott.ssa Manuella Crini si occupa di promozione del benessere psicologico, che passa attraverso la mente, ma anche attraverso il corpo.