Pensieri su giornate speciali

Il sentimento non è un dovere.

“Christmas was the hardest time.” King- la Casa del Buio 1998

Il Natale rompe il tempo lineare. Lo abbiamo voluto cercato creato. Dalla morte apparente della notte più lunga, attraversando lo sfogo collettivo degli schiavi che mangiano con i padroni fino alla nascita del presunto salvatore. Dare senso al buio. Disegnarci dentro. Con una matita bianca.

Il Natale rompe il tempo lineare e fa esplodere una bomba di suoni. Toglie la pelle e si sente di più. Diventa il tempo della nostalgia, delle mancanze, del dovere. Diventa il tempo dell’attesa, della gioia e dei sorrisi. Il Natale si limita a scoperchiare quello che già c’è. Aggiunge sale e da sapore, ma non crea nulla. Si mescolano i ricordi, le memorie autobiografiche, quelle che manipoliamo e cambiamo continuamente, i momenti belli, le assenze. La memoria lavora fortissimo. E genera un come siamo stati amati. E il Natale lo potenzia. Nel bene e ne male.

Ma i sentimenti non sono un dovere. Non devi sentirti bene felice entusiasta. Puoi. Puoi sentire quello che senti. Che arriverà potente tra le tue orecchie e le tue costole. Puoi ascoltarlo. Viverlo. Parlarci insieme e dormirci la notte. Puoi. Una parola magica che sa di libertà.

Il senso del dover essere qualcosa, invalida e calpestata quello che si sente, genera senso di colpa. Quel buco pieno di fango tra il chi sono e il chi dovrei essere. Senza chiedermi se voglio davvero esserlo.

Il Natale illumina. Del resto, il sole torna ad essere presente, il tempo si srotola, qualcosa si salva. Qualcosa cambia.

A Natale puoi. Eccome. A Natale voglio.

Il Natale rompe il tempo lineare. E con una matita bianca, puoi colorare le ombre sul tuo foglio nero.

Qualsiasi cosa sia il Tuo Natale, che sia Tuo. Che sia quel che vuoi e non quel che devi.

#pensieriallacaffeina

Cosa hai fatto quest’estate? Ho fatto sopravvivere il basilico

Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla. Ennio Flaiano

Le stagioni influenzano l’umore. Non in modo uguale per tutti. Non in modo patologico per tutti. C’è chi abbassa notevolmente le sue capacità in estate, chi in inverno, in un’altalena del genere umano che diventa quell’onda violenta dell’Acquafan dove pelle e sudore vengono spinti inermi in una gigantesca massa trasparente.

Ma se possiamo non performare durante l’inverno, tra sci e mare proibito, dobbiamo in estate. Dobbiamo dire in pubblico quante città abbiamo visto. Quanto cibo abbiamo assaggiato. Quanto abbiamo sudato per parcheggiare o parlare in una lingua ignota. Pressione sociale. Pressione social.

Dobbiamo essere abbronzati. Dobbiamo essere magri. Dobbiamo essere belli e dobbiamo girare il mondo.

Io salvo il basilico. Facile farlo quando fuori il sole non corrode l’asfalto. Quando l’afa non invade le vie respiratorie e non brucia i polmoni. Ma è quando il gioco si fa duro che il basilico può morire.

Ed è facile prenotare un biglietto aereo e scappare altrove, ma salvare il basilico no. Subito appare bello e felice nel suo vaso. Ma dopo poco, smette di esser bello. Diventa impegnativo. Devi dosare acqua luce gas libri auto viaggi e fogli di giornale. E salvare il basilico è quel che serve dell’estate.

Fuori da ogni metafora. Lontano dal pesto fatto senza nocciole e altre schifezze, le vacanze, il tempo vuoto, è il tempo per prendersi cura di se. Di quel basilico fragile e delicato. Per capire dove e cosa si vuole essere. E anche dove si vive e non solo si sopravvive, in attesa di un po’ di acqua o di un paio di nuvole passeggere.

Le ferie, le vacanze, l’origine perfetta del significato e la perdita completa e svuotante fatta di foto e di ora tocca a te su Instagram. Riprendiamoci il tempo. Quello della cura. Della pazienza. Della clinica su se stessi.

Dove sei andato quest’estate? In un viaggio dentro di me. Portando a spasso il corpo intriso di mente in luoghi meravigliosi. Siano essi stati la camera da letto, il divano, la punta più estrema di un mondo rotondo.

Vacanza. Essere liberi.

Riprendiamoci il senso della vacanza. Salviamo il basilico.

Ovunque tu abbia passato le tue vacanze, fosse anche in ufficio a pregare per un pinguino più potente, qualcosa è accaduto. Qualcosa è cambiato.

#pensieriallacaffeina

I compiti a casa

Scrivi una lettera a te stesso a 100 anni.

Nella mia stanza accadono cose. In ogni stanza della mia vita accadono cose. Ma nella stanza dello psicologo accadono cose anche agli altri. Anche a me per dirla tutta. Ma questa è un’altra storia.

Nella mia stanza ci si trasforma. Confrontandosi con se stessi. Con quello che si è stato e con quello che si diventerà. Con la mia assurda pretesa di rimanere nel qui e ora. Quel magico spazio dove passato e futuro collassano in un buco nero che diventerà supernova. Non mi interessa sapere se è così o meno. Mi piace pensarlo.

Ma quello che accade nella mia stanza, accade nel tempo dopo. Nel tempo fuori. Come per ogni cibo che si mangia. Accade in digestione.

E in quella digestione lascio spesso i compiti a casa.e la lettera al se stesso invecchiato, c’è spesso. Quella lettera che parla di noi. Che aiuta a capire ora chi vorremo essere, ma anche chi non vogliamo. E quello sta in ciò che non raccontiamo. Perché il non detto ha un potere immenso. Racconta storie e favole silenziose. Parlando di noi.

E nel confronto possiamo fare collassare tutto. E siamo di nuovo nel prendere. Potenziali modi di essere noi a 100 anni.

Provo a sentire il futuro. Quello incerto. Quello che immagina il sole senza pioggia, quello che vuole un mondo senza guerra. Quello che si vede con nipoti, nipotini, unə compagnə rugosə cui stringere forte la mano e vedere il film della propria vita insieme. I capelli bianchi. O semplicemente ancora qualche capello. La somma di tutti i se.

Cara Manuella, chi sarai diventata a 100 anni? Non sarà noiosa la vita senza un lavoro? Avrai foto sparse di te che raccontano di quanto sia bello il mondo? Vivrai al caldo ogni giorno guardando il mare? Spero di si. Anche che ti annoierai. E nella noia inventerai racconti. Di sicuro non avrai imparato a disegnare. Ma a far sognare, spero di sì.

Manuella Crini

Psicologa

Pensieri su giornate speciali

Non si chiama festa della donna

Ma io me ne frego e la chiamo così

Le donne sono servite, in tutti questi secoli, come specchi che possiedono il potere magico e delizioso di riflettere la figura di un uomo a due volte la sua grandezza naturale

Virginia Woolf

Sono tutte belle le donne. Eccome. Ognuna con la sua forma. Ognuna con le sue idee. Ognuna con il suo talento. Così diverse. Perché è nella diversità che si cerca l’uguaglianza. Eppure no. Eppure genera fastidio che qualcuna stasera vada in minigonna e rossetto rosso a cena con le amiche.

Perché giudichiamo. Sempre. Ed è bello giudicare. È di vitale importanza. Per poter scegliere. Per potersi esprimere. Ma quando deformiamo il giudizio e lo riteniamo armageddon, allora no. Allora il giudizio fa schifo perché incasella in stereotipi che in fretta diventano violenza.

E ci siamo cresciute tutte dentro. Che devo saper cucinare, pulire casa, servire e occuparmi del portatore di pene. Ma non quelle, no, proprio quello. Il santo Pene. Quello che non abbiamo e allora viviamo castrate per un’assenza che anche la biologia nega. Già. Perché non abbiamo una costola in meno. Ma un potere in più. L’utero. Il maledetto utero che qualcuno vuole gestire e sottoporre a scelte non mie.

Essere donna è difficile. E poco importa se oggi festeggiamo o ci fermiamo a pensare a diritti che in fondo non ci sono. Perché finché necessitiamo di un giorno per ricordarlo, è perché quel diritto non c’è.

E dentro quel giudizio, cresciamo. E la mente si forma e si plasma e decide che è giusto così. Che sono donna senza pene. E allora scelgo la pena. La sofferenza. Scelgo una carriera che si concili con la genitorialità, e se non riesco, rinuncio. Scelgo di fingere un orgasmo, scelgo che mi vada bene se lui lo ha avuto e io no. Scelgo di truccarmi per uscire. Scelgo i vestiti che simulano forme. Scelgo che vada bene. Perché in fondo lo penso perché sono cresciuta immersa in un ambiente così. Dove penso sia giusto così.

Ma se non fossi stata imbevuta di questa roba? Che sarebbe della donna? Quella che sceglie il pretendente migliore per procreare? Non lo sapremo mai. Perché ormai la nostra natura è fusa con la società. Con le società. Ma in quasi tutte, la donna sta alle spalle. Dietro ad un pene. Una spugna. Due sacchetti.

Quindi continuiamo a festeggiare. Che sia la pizza in minigonna, che sia la protesta in piazza. Che siano i pop corn sul divano senza aver lavato i piatti. Perché nella festa c’è rumore e nel rumore c’è la voce. C’è la libertà di voler esser ciò che siamo. E per farlo va cambiata la società. Per metterci in ammollo le nuove generazioni. Quelle ancora pure, quelle per i cui i circuiti neurali possono ancora prendere forme diverse.

Perché siamo diverse. Anche dai portatori di pene. Ed è meraviglioso così. Ma essere profondamente diversi non vuol dire che qualcuno sia migliore o meriti di più. O di meno.

E un grazie a tutte le donne che si sono scrollate di dosso il “non puoi” . E tu puoi essere una di quelle.

Buona mimosa a tutti

Manuella Crini

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Amati. Almeno un po’

Amare sé stessi è l’inizio di una storia d’amore lunga tutta una vita

Oscar Wilde

Una delle più orrende bugie che ci propinano è che per essere amati serve prima imparare ad amare sé stessi. Che cazzata. Epocale. Mi può amare chiunque anche se io mi schifo. Beh, sto meglio se mi amo. Almeno un po’. Ma anche se io non mi amo, anche se mi schifo, qualcuno che mi ama in qualche parte del mondo, c’è. E forse attraverso i suoi occhi imparerò anche io ad amarmi per quella che sono. Ad avere il coraggio di farmi schifo ogni tanto. A prendere per buoni i miei pregi, ad avere il coraggio di accettare quello che non posso cambiare. Del resto noi amiamo anche il brutto. Il pannolino sporco, il vomito addosso senza correttore, il corpo perfettamente imperfetto e i segni del tempo.

Amati per quel che riesci. Metti amore dove riesci. E congratulati con te ogni volta che lo fai. E va bene anche se non hai voglia di star solo. Perché siamo animali sociali e l’equilibrio nella nostra solitudine è solo nostro.

Smetti di rincorrere tutti gli ideali, scrollati di dosso quello che non ti va. Ridi, corri, ascolta musica. Goditi il tempo con te e con gli altri. Guardati allo specchio e cerca un difetto e compensalo con un pregio. Che tanto sono solo parole. Mai assolute. Il mio peggior difetto può essere quello che l’Altro vede come mio miglior pregio. È tutto relativo se ci metti amore.

Amati solo un po’, fallo oggi. Anche una piccola parte di te. Guardati come il cane guarda la ciotola del cibo. Come il gatto guarda la scatola che contiene il regalo che hai comprato per lui.

Buon San Valentino al sapore di cioccolato e caffè

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I bilanci di Natale

Se ci diamo la mano
i miracoli si fanno
e il giorno di Natale
durerà tutto l’anno – Gianni Rodari

Tra le scadenze burocratiche di fine anno prende il sopravvento in maniera potente il bilancio di fine anno. Non c’è nessun commercialista che ne chieda conto, ma diventa un automatismo spinto anche dai buoni propositi che imperversano e che resteranno fermi fino a settembre.

Caro Babbo Natale, sono stato davvero buono? Ho saputo rispettare me stesso come merito? Tu che tutto puoi, che tutto osservi, mi sai dire se davvero ho passato un anno comportandomi bene e quindi mi merito i regali che ti sto chiedendo? Posso avere un po’ di felicità nell’anno che sta per arrivare?

E così Babbo Natale diventa un me stesso con cui parlo, divento io l’osservatore di me stesso, un osservatore che non scappa comunque dai meccanismi più antichi e guarda inizio e fine dell’anno passato, dimenticando il “costruire” che sta all’interno e non me ne voglia Niccolo Fabi, ma inizio e fine sono due aspetti che facilmente ricordiamo. Quello che sta dentro, a meno che non sia crema al mascarpone dentro al pandoro (a me il panettone non piace e chiuderei qui la diatriba inutile), lo scordiamo.

E allora facciamo questo dannato bilancio, sforzandoci anche di ricordare i mesi centrali. Ma come si fa? Come analizzo tutto quello che mi è accaduto in 365 giorni in modo da poter pianificare i venturi in modo che io possa raggiungere vette del benessere ancora inesplorate?

Per far un bilancio servono operazioni, non chirurgiche, ma quasi. Matematiche soprattutto, fatte di somme e sottrazioni. Chi ero e chi sono. Chi volevo essere e chi sono diventato.

Cosa mi ero proposto lo scorso anno? Che avrei fatto palestra? Che avrei lavorato di più o di meno? Che avrei trascorso più tempo in famiglia? Che avrei potato rami secchi?

Partiamo da lì, cose semplici. Che nascondono molto di noi, del nostro ideale. Del nostro Natale.

Niente Grinch per quest’anno. Perché tanto anche lui ama il Natale. Ne ha avuto uno. Senza saperlo ma non senza volerlo. Cerchiamo il Natale dentro di noi. Quella rinascita anche piccola che ci farà sorridere tra 365 giorni.

L’ augurio fatevelo da soli, non perché ne sia a corto, ma perché ognuno di noi sa cosa volere per se stesso. E se non sa come ottenerlo, il primo passo è capire se qualcuno intorno a noi, o anche più lontano, può aiutarci a togliere la nebbia e vedere la strada. Siate Babbi, (non troppo ma nemmeno troppo pochi) siate Re Magi.

Buon Natale

Manuella

Senza categoria

L’importanza di vomitare

Il corpo si libera di quello che potrebbe nella sua tossicità ucciderlo. È un ruolo importante è giocato dal midollo allungato. Il sistema nervoso, ha sempre un ruolo. Quasi. Ma a me piace pensare che ne abbia sempre uno.

Prima di vomitare, si sta male. Dopo, si inizia a star meglio. Vomitare pensieri è cosa diversa. Tirar fuori tutto quello che dentro può diventar tossico o pericoloso, può in apparenza far sembrar pericoloso anche quello che sta dentro, una volta tirato fuori. E allora teniamo tutto dentro, temendo che una volta tirati fuori i nostri mostri, possano aver vita propria e distruggere il nostro mondo intorno. Ma fuori da noi, i mostri non sopravvivono. Riusciamo a vederli. A capire che forma abbiano. Come tutti i mostri, fuori dal letto, non sono così spaventosi come quando sono nascosti sotto.

Non sempre è facile vomitare i pensieri. Non sempre il luogo e il tempo in cui ci si trova sono spazi adatti. Ma dentro crescono. Si nutrono e si ingarbugliano. Creano crepe. Arrivano fino alla punta delle dita.

Fanno battere il cuore e accorciano il fiato.

Un punto che sembra morto. Come se il punto potesse morire. Ma dopo il punto c’è uno spazio bianco. In cui si può iniziare a scrivere al Mostro che non si riesce a vomitare. Guardarlo un po’ in faccia. Vomitare parole dopo il punto. Che non è morto. È solo una pausa un respiro.

Forse dopo aver vomitato servirà stare fermi un po’. Ascoltare di nuovo il corpo. Dopo aver vomitato i pensieri forse servirà star fermi un po’. Ascoltare di nuovo la mente. Con tutto il tumulto di emozioni che tira fuori. Ascoltarle. Viverle. Lasciarle andare.

Auguri Richy.

Pensieri su giornate speciali

Vorrei essere felice. Ma è Natale.

Inutile chiedersi perché, nessuno sa dare chiarimenti.

Sarà perché in testa le rotelle non ha tutte, sarà  perché le sue scarpe sono strette e tanto brutte. O forse la ragione di tanto malumore è che di due taglie.. ha più piccolo… il cuore! Dr Seuss – Il Grinch

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Lo spirito del Natale, la gioia che sprigionano le canzoni, il freddo, la neve, luci suoni odori telefonate messaggi mail, infiniti auguri da sconosciuti cui devi rispondere, persone felici ma che hanno da esser felici? … ma quando finisce?

riprovo

Lo spirito del Natale. Il pranzo che si avvicina, le luci, i messaggi di auguri, i sorrisi, i caldi abbracci nei caldi maglioni, l’attesa di poter sentire la carta che si strappa e guardare meravigliati i regali.

Sta sempre tutto nel cervello, e anche lo spirito natalizio ha una suo preciso topos dove stare. La corteccia motoria primaria e la corteccia premotoria dell’emisfero sinistro, la corteccia parietale inferiore e superiore destra e la corteccia somatosensoriale primaria bilaterale. Diciamo che occupa una buona parte del nostro chilo e mezzo nella scatola cranica. Queste aree sono deputate a svolgere molti ruoli, per esempio i lobi parietali sono coinvolti in quella parte spirituale della nostra personalità, la corteccia premotoria si attiva nelle emozioni condivise con gli altri. Queste aree si attivano e danno vita a quello che è lo spirito natalizio. In alcuni però non accade, quelli che si riconoscono di più nella prima affermazione, quella per cui il Natale, tutto questo tripudio di gioia, non è.

Il Natale può attivare non solo sentimenti di gioia, ma anche un male di stagione, Seasonal Affective Disorder, non proprio un banale raffreddore, ma legato alla mancanza di esposizione alla luce, alla presenza di  freddo, attacco di virus e batteri, e che porta i quadri depressivi fuori dal letargo, ed è condito a volte dall’amplificarsi della sensazione di solitudine, il terribile paragone con gli altri che hanno l’agenda piena di appuntamenti veri con amici veri fanno e ricevono regali veri mentre io ho tutto il caos intorno e la solitudine dentro. E il Natale fa male, e quelle aree cerebrali che negli altri si attivano, non si attivano in me. E non solo, amplificano un qualcosa che era dentro.

E allora divento Grinch.

Sul perché si diventi verdi, ci sono moltissime storie nascoste. Ricordi di passati Natali non felici, storie di vita complesse, mancanze che si fanno sentire.

Ma Dr Seuss ci racconta un finale magico, quello in cui, grazie ad una nuova storia di vita, fatta di una modalità di accudimento diverso, si cambia, rimanendo sempre sé stessi, ma illuminando a festa anche quelle parti del cervello che non ne volevano sapere di cantare Merry Christmas. Regaliamo tempo prezioso. Regaliamo tempo di ascolto, di cura, di coccole. Ogni interazione ci cambia le sinapsi.

Il mio augurio è questo. Di incontrare per caso, in casa, sul treno nei posti più improbabili, un buon scambiatore di sinapsi che faccia la magia di Natale e accenda le luci non solo sull’albero, ma anche nella corteccia prefrontale

Buon Natale

Manuella Crini

 

 

 

Difficoltà psichiche

Dirotta su Cuba

Il geloso ama molto, però chi non lo è, ama meglio

Molière.

La paura di perdere quella persona. Nasce da li. Come se l’altro fosse un oggetto che ci appartiene, inerte, e che qualcuno potesse strapparcelo dalla nostra pelle. Quando amiamo, il nostro amore è intriso dall’angoscia di perdere quelle sensazioni che proviamo quando i suoi occhi posano sui nostri confini corporei. L’altra persona nel leggere nelle nostre pupille il senso di possesso e di appartenenza, si sente amato. Che cosa buffa. Sentirsi amati perché contenuto dalla paura di un’altra persona.

la gelosia è un grosso contenitore. Attiva comportamenti e pensieri. Anche dannosi. Anche illeciti. Anche oltre. E se fu la gelosia non fui io a commettere un crimine, ma essa stessa che me lo indusse senza che io ebbi forza di resistere.

Una ricerca recente ha messo in luce un’attivazione nell’amigdala, la mia mandorla preferita nel cervello (in realtà sono due, una per ciascun emisfero, e sono piccoli centri delle dimensioni del frutto secco che sono attivamente coinvolte in alcune risposte emotive). Lo studio ha rivelato come si attivassero nei cani quando vedevano il loro padrone dar cibo ad altri cani. Ed è lecito domandarsi se quella fosse gelosia e se quindi si tratti di una normale emozione (se la provano anche i cani, allora quelli strani non siamo noi). Ma siamo sicuri che il cane temesse di perdere l’affetto del padrone e non volesse semplicemente cibo?

la sindrome di Otello, la gelosia delirante che assume le connotazioni di un disturbo delirante. Non ci sono prove che il partner sia infedele, ma la realtà ha poca presa sui pensieri e l’Otello della situazione mette in atto comportamenti devianti, che vanno dallo stalking all’uso di sostanze per arrivare anche alla violenza fisica.

Nella gelosia romantica, l’antecedente, il maledetto attivatore di emozioni, sembra avere a che fare sulla percezione della relazione. Come la rappresentiamo. Come la sentiamo. Cosa ci aspettiamo che ci dia. E li arriva la gelosia. Come violazione delle aspettative.

E tornando indietro nel tempo, dalla nostra storia di vita. Dai modelli. Che come i modellini di carta si prestano a foglio bianco per ritagliare come abito di sartoria la nostra personalità.

Percepita come dolorosa. Come ossessiva. Sento spesso parlare di gelosia buona. Come se esistessero due facce della stessa medaglia. La gelosia, come ogni emozione, racconta qualcosa che con le parole ha poco a che fare. Che fatica a prendere forma nelle lettere ma che diventa qualcosa da tradurre, capire, comprendere e usare. Solo così diventa buona.

Pensieri su giornate speciali

Chiedimi se sono felice

I sorrisi sono probabilmente le espressioni facciali più sottovalutate, molto più complessi di quanto la maggior parte della gente pensi. Esistono dozzine di sorrisi, ognuno diverso dall’altro, nell’apparenza e nel messaggio che esprime.

Paul Ekman.

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Che belle sono la paura e la rabbia, sono emozioni salvavita, quelle che ti fanno reagire di fronte a stimoli pericolosi e attivano l’organismo con lo scopo di portar a casa la pelle. Quando funzionano male, diventano danno, ci fanno star male e ci impediscono di vivere in modo più sereno la nostra vita. Le emozioni sono un sistema di funzionamento semplice e nel contempo complesso. Quindi a che serve esser felici? La risposta è apparentemente semplice, ma si rischia di cadere nella tautologia. Se dico Darwin i primi pensieri vanno alle scimmie, alle Galapagos, oh le Galapagos, con le loro tartarughe giganti, i colori, i profumi, il mare, l’estate, io mi sento già meglio. Che potere immenso hanno le immagini che si attivano nel cervello. Perdonate le associazioni mentali, torniamo a Darwin. Beh Darwin ebbe un’intuizione importantissima, si accorse che condividiamo le emozioni con specie diverse dalla nostra. E girò il mondo per dimostrarlo, e contribuì all’idea che proviamo tutti emozioni, definibili primarie, o di base, che non vengono plasmate dalla società o dalla cultura, ma che hanno una matrice innata e genetica. Darwin non si fermò a quello, cercò di capire quale fosse la funzione di ciascuna emozione, perché se ce le siamo tirate dietro, perdendo invece la coda, probabilmente hanno un grosso valore adattativo.

La gioia non è solo assenza di emozioni negative. E’ un’emozione indipendente, che proviamo in determinati momenti, con un correlato cerebrale dedicato e il rilascio di preziose sostanze che modificano l’organismo e ci fanno sentire bene. Come tutte le emozioni, ha una durata breve, ma le modificazioni neuroendocrine possono persistere per un periodo più lungo, fornendo quella sensazione soggettiva di benessere. Come tutte le emozioni, ha una specifica espressione corporea, i cui dettagli si concentrano sul volto, che sorride, e sorride tutto, anche gli occhi, perché la gioia ha il potere di attivare alcuni muscoli intorno agli occhi a contrazione involontaria che ci aiutano a distinguere un falso sorriso da uno genuino.

La felicità è dunque quella sensazione che ci fa sentire bene, che ci spinge alla ricerca di quell’obiettivo, dandoci gratificazioni ogni volta in cui facciamo un piccolo passo verso di esso, è quella sensazione gradevole che abbiamo provato in una particolare circostanza che abbiamo quindi connotato in maniera positiva e che quindi tendiamo a ripetere. E’ quella sensazione che esperiamo quando troviamo il nostro posto nel mondo, insieme agli altri.

(ecco a che serve esser felici, ad avvicinarci a quello che ci fa bene, quando funzioniamo in un modo sano)

While life may ultimately meet a tragic end, one could argue that if this is as good as it gets, we might as well enjoy the ride and in particular to maximize happiness.

Kringelbach e Berridge.

Aristotele diceva che la vita non può essere solo una soddisfazione di bisogni e desideri, ma affiancava un’altra idea di felicità, quella eudaimonica, quella tesa al raggiungimento e all’espressione della nostra vera natura, la realizzazione personale insomma.

Considerando la felicità come un diritto di ciascun essere umano, e siccome la felicità non è solo assenza di malessere, ma può essere perseguita, lasciamoci andare oggi a quello che ci fa felici, seguendo alcuni suggerimenti presi dalla psicologia positiva (quella che si occupa di comprendere i meccanismi che favoriscono il benessere)

  • teniamoci occupati e attivi
  • godiamo dei piaceri della vita
  • spendiamo tempo nella socializzazione
  • sviluppiamo un pensiero ottimistico e felice
  • viviamo il presente
  • decidiamo di essere noi stessi
  • eliminiamo problemi
  • rivalutiamo il passato
  • concentriamoci sulle relazioni intime che sanno dare felicità

Non ho detto che sarà facile, ma le persone che provano molte emozioni positive, hanno una vita più lunga, condizioni di salute migliori e risultati personali e professionali maggiori. Non ho detto che sarà facile, ma che ne può valere la pena.

La felicità è la sfida dell’umanità presente, per la sua dignità futura.

Zygmunt Bauman.

Un piccolo regalo per te, un esercizio proposto da Seligman (il fondatore della psicologia positiva): chiudi gli occhi e richiama alla memoria qualcuno che ha fatto o detto qualcosa che ha cambiato la tua vita in meglio. Scrivi una lettera di gratitudine e consegnagliela di persona.

La dott.ssa Manuella Crini svolge sedute di consulenza psicologica volte a migliorare il benessere individuale