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10 personaggi in cerca di psicologo

Il mio tributo a Bergamo passa attraverso questo. Attraverso i miei studenti che hanno lavorato a lungo sulla psiche di personaggi che tutti conosciamo. Quando ho chiesto loro di svolgere questo  lavoro, eravamo ben mentalmente lontani dal sars-cov-2 e dal Covid-2019. Ma in realtà era gennaio. Quanto è bizzarro il tempo che passa dalla mente. Brevi racconti, brevi spunti, tratti dai loro eccellenti lavori. Futuri psicologi all’opera, che ringrazio per avermi fatto divertire, riflettere ma soprattutto evocare dubbi. Perché sono i dubbi il mio costante motore verso un punto meno dubbioso.

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Secondo quanto emerso dalle sedute e dalle scale utilizzate con il signor Jack Sparrow posso ipotizzare la seguente analisi psicologica: il soggetto esprime una personalità di tipo collerico e sanguigno. Si può intuire fosse un bambino definito autonomo e indipendente, forse troppo, appare infatti un adulto diffidente. Giustificherebbe il suo modo di essere e di fare, i dubbi e le titubanze che non riesce a smettere di avere nel momento in cui si relaziona con un nuovo personaggio. Il paziente presenta un disturbo narcisistico di personalità, caratterizzato da: senso grandioso di importanza, richiesta di eccessiva ammirazione, sfruttamento per i propri scopi di rapporti interpersonali, mancanza di empatia, comportamenti spesso arroganti e presuntuosi.
Si consigliano ulteriori approfondimenti. 

Joker possiede una personalità frantumata a causa delle sue precoci esperienze di vita.Come se fosse privo di un’adeguata mappa con cui muoversi nel mondo relazionale. Siamo giunti a questa conclusione dopo aver, sottoposto il paziente ai test MMPI-II e EPQ, i cui risultati sono riportati in allegato. In particolare i risultati indicano lo sviluppo di una patologia con importanti riflessi di natura psicosociale e psicotico e, nello specifico, descrivono un soggetto che: incontra difficoltà nell’interiorizzare regole sociali, dimostra una carenza di controllo sulle risposte emotive, tende a valutare l’isolamento affettivo, tende ad agire d’impulso e assumere spesso atteggiamenti aggressivi ed è incapace di provare rimorso.  Joker è un soggetto che si affida maggiormente all’intuizione, coglie a livello inconscio le possibilità latenti di una situazione senza tenere conto del presente, mirando principalmente agli sviluppi futuri, è inoltre molto attivo e inquieto e necessita di molti stimoli di varia natura, e in particolare non ha molto a cuore il benessere di chi gli sta attorno. Si può affermare che Joker sia dominato pienamente dall’Es, egli ricerca infatti il piacere a tutti i costi, la soddisfazione dei propri istinti, utilizzando per questi suoi fini talvolta una grande aggressività. Fino a diventare assassino.

Da un punto di vista fisiologico e genetico, Kretschmer avrebbe definito Homer Simpson un  Ciclotimico , in quanto tendente all’obesità e ad altre caratteristiche.  Ad esempio presenta una tonalità psichica che oscilla dall’eccitazione alla depressione o dall’allegria alla tristezza, che essendo limitata fa sì che il soggetto preferisca lavori poco faticosi, compiuti con infedeltà; inoltre, presenta una scarsa tendenza alle passioni sebbene ci sia una continua ricerca di compagnia e un limitato controllo di se. Infine presenta un comportamento in genere spavaldo, entusiasta, agitato, con uno scarso autodominio e una tendenza a parlare piuttosto che ascoltare. I ricordi più vivi di Homer sono l’abbandono da parte della madre e la sua conseguente crescita con il padre in un ambiente vuoto e privo di affetto. Egli, infatti, riporta un episodio in cui il padre ha rivelato che il suo concepimento è stato un incidente e che se non fosse avvenuto sarebbe stato tutto più semplice. Questi sono stati eventi molto significativi, situazioni di disagio e privazione che potrebbero non aver portato necessariamente ad un danno psicologico ma comunque hanno permesso lo sviluppo di uno stato di instabilità psichica. 

Secondo il modello di John Bowlby, Lisa Simpson potrebbe rappresentare la categoria di bambino evitante. La paziente sembra essere stata privata delle cure materne, principalmente di quelle psicologiche, che l’hanno segnata a livello emotivo. La sua personalità appare determinata dall’insensibilità della madre verso i suoi segnali di bisogno. Più precisamente, la madre sembra non comprendere i reali bisogni psicologici ed emotivi della paziente, concentrandosi unicamente su quelli biologici. Infine, la paziente ha un’immagine generalmente negativa degli altri, che considera inaffidabili e poco disponibili. Utilizzando la terminologia di Jung, Lisa rappresenta le caratteristiche del tipo riflessivo- introverso : non si adatta però alla società per volontà sua e non per difetti caratteriali; è piuttosto solitaria, ma perché non ha attorno persone simili a lei con cui confrontarsi, condividere idee e comprendersi vicendevolmente. Lisa infatti è una persona che tende a trovare la logica di qualsiasi situazione le si presenti, deve trovare il motivo scientifico per ogni avvenimento, è intelligente e puntigliosa, inoltre tende a giudicare il valore positivo o negativo di ciò che si trova davanti ed è estremamente razionale. La famiglia di Lisa e la società sono doppiamente ciechi perché non sanno guardare a fondo né se stessi né l’unicità e la bellezza di Lisa, la quale al contrario presenta entrambe le capacità di sguardo: sia quella verso se stessa che quella nei confronti degli altri. Lisa è testimone sia delle vite altrui vissute senza mordente sia del proprio valore e della propria voce fuori dal coro.  

Focalizzandoci sull’idea di Bowlby ,che trova la base dello sviluppo dell’IO e della sua personalità nei legami relazionali, in particolare con la madre durante i primi due anni di vita, si può immaginare e ragionare sulla possibile relazione di Winnie the Pooh con la madre. Quest’ultima potrebbe essere stata una madre con molti comportamenti contraddittori, pochi affettuosi e con scarse capacità di contenimento, poiché Winnie mostra tendenze di attaccamento verso l’altro -nel quale ricerca conforto- e prova un senso o paura di abbandono e separazione. La personalità sembra essersi sviluppata a livello nevrotico con vari meccanismi di difesa, come lo spostamento di sentimenti inaccettabili sul miele, conseguendo in una vera e propria ossessione per l’alimento. Inoltre sembra intellettualizare queste sue pulsioni per il cibo e per ciò che sarebbe disposto a fare per averne, dandosi spiegazioni che per quanto siano evidentemente illogiche, lui accetta come razionali. Viene riferito che è capitato più volte che questi suoi comportamenti l’abbiano portato a situazioni estreme e pericolose, manifestando una tendenza a difendersi con tecniche di rovesciamento, minimizzando la gravità delle minacce a cui è andato incontro. Inoltre si può ipotizzare un deficit d’ attenzione, sottotipo disattento e un problema alimentare, quale l’obesità, aggravato dalla già instabile salute mentale. 

Si può supporre che Alice soffra di disturbi del sè, si ipotizza soffra di disturbo schizotipico di personalità, dato da convinzioni strane, pensiero magico, paranoie, comportamenti eccentrici e ansia sociale. Si ipotizza inoltre un disturbo della personalità multipla, conseguente a discontinuità della normale integrazione della coscienza, memoria, identità emotiva e percezione. Il trauma emotivo alla base di questo disturbo dissociativo potrebbe essere la perdita del padre. Come ipotesi di trattamento della paziente sono indicati sia l’ EMDR, modalità terapeutica basta sull’elaborazione di ricordi,  e la terapia cognitivo comportamentale in cui si modificano le credenze disfunzionali dalle quali originano le patologie. Alice è quasi perennemente in stato d’ansia, allarme, panico, ossessionata. È da valutarsi anche una presenza di schizofrenia se si intende la creazione del paese delle meraviglie come un luogo in cui trovare conforto in risposta ad un isolamento affettivo (ipotesi meno probabile). È inoltre affetta da ipomania: il suo stato di eccitamento e in seguito di disforia sono senza dubbio oltre i normali limiti (anche se bisogna pur sempre tener conto che le risposte emotive dei bambini sono di norma più esagerate rispetto a quelle degli adulti). Alice ha portato ad ipotizzare  l’esistenza della sindrome di Todd, da colui che l’ha studiata per primo, ovvero un particolare disturbo che porta chi ne soffre ad avere una percezione visiva bizzarra, i pazienti possono essere anche soggetti ad elopsia, un disturbo neurologico della vista che fa vedere gli oggetti molto più lontani di quanto non siano in realtà; o anche alla micropsia, che fa vedere gli oggetti ed alcune parti del corpo sembrano molto più piccoli.

La difficoltà a relazionarsi di Sherlock Holmes, viene confermata da un’auto-diagnosi del soggetto stesso, il quale si definisce un sociopatico-interattivo, ovvero incapace di conformarsi al comportamento sancito dalla legge, poco attento ai bisogni altrui, incapace di riconoscere le proprie e le altrui emozioni e di provare rimorso. L’estrema razionalità e la visione oggettiva del mondo esterno sono però controbilanciate da un malessere interno che trova sfogo nell’amore per la bella vita e nell’abuso di sostanze psicotrope. L’ instabilità caratteriale unita ad atteggiamenti e comportamenti tipicamente antisociali come il frequente ricorso all’uso di menzogne, la noncuranza della propria e altrui sicurezza, l’irresponsabilità abituale in diversi contesti, l’uso di droghe come accennato precedentemente, la mancanza di rimorso e soprattutto l’incapacità di conformarsi alle norme sociali, ci porta a inserirlo nei soggetti affetti da disturbo sociale. Un’altra tipologia di disturbo riscontrabile nel soggetto è il disturbo narcisistico di personalità: l’individuo presenta sintomi quali grandiosità di sé stesso, fantasie di successo illimitato, richiesta eccessiva di ammirazione per le sue qualità, sfruttamento degli altri, sentimenti di disprezzo ed arroganza. Il Sig.r Holmes è inoltre caratterizzato da stranezza comportamentale e dal ritiro emozionale.

Possiamo affermare che Paperino sia rimasto alla fase fallica, non superando il complesso di Edipo: egli infatti, nonostante sia stato abbandonato dalla madre Ortensia dé Paperoni, la cui scomparsa non è mai stata confermata, prova un grande rispetto ed un profondo amore per la donna; stessa situazione non può essere vista nel rapporto con Zio Paperone, che funge quasi da padre nella vita di Paperino, con il quale il personaggio ha una burrascosa relazione causata dall’idea di fannullone che lo zio associa al nipote.

Infine, se Bruce Wayne si sedesse sulla poltrona del mio ipotetico studio, dopo una serie di colloqui semi-strutturati, scoprirei che all’età di 8 anni, assistette all’assassinio dei suoi genitori. Questo evento condizionò profondamente il suo approccio alla vita e la sua visione del mondo.  Per far fronte a questo profondo sentimento di dolore, Bruce costruì un alter-ego, Batman: un pipistrello gigante che spaventa i criminali della sua città. Penso di aver raccolto sufficienti informazioni per supporre che vi sia un disturbo di personalità; DSM alla mano, lo sfoglio e mi imbatto nel Disturbo dissociativo di personalità. Mi vengono dubbi. L’uomo pipistrello nonostante sia caratterizzato da alcuni tratti riconducibili a diversi disturbi della personalità è impossibile definirne uno in particolare (anche a causa delle diverse trasposizioni che ha avuto nella storia del cinema e del fumetto), e Batman potrebbe non essere una personalità distinta ma la risultante finale del vissuto di Bruce. L’empatia è ciò che lo ha spinto a indirizzare verso il bene tutti i suoi disagi interiori e i suoi traumi, e a proteggere i deboli per evitare che anche loro soffrano come ha sofferto lui, perché per quanto da fuori possa sembrare freddo e spietato dentro di sé nasconde un cuore grande, quello del “piccolo Bruce”. 

 

In ordine sparso i futuri psicologi. Della splendida Università degli Studi di Bergamo, cui sono vicina, con il cervello, perché il cuore, alla fine, pompa sangue.

Grazie

Marta Quartarone, Beatrice Carini, Greta Redaelli, Samuele Schettini, Chiara Raggi, Alessandra Tarterini, Elena Bacchetti, Sara Fedeli, Chiara Bonfanti, Yasmin Sbai, Gaia Cortada, Aurora di Criscito, Villanova Chiara, Federica Lombino, Viola Paratico, Alessia Moroni, Carla Ascente, Davide Masi, Giada Mazzei, Matilde Castelletti, Luca Marino, Lisa Calzi Jacopo piovan, Nicole Bettoni

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Di paure imperiali con la Corona

Psicosi.

Panico.

Paura.

Conosco questo aspetto della psiche umana. Meno come funzioni un virus nel nostro corpo. A ciascuno il suo. Ma so che la paura smuove verso azioni che salvano la vita. Quindi non dirò di non aver paura. Assolutamente. Dirò di non farsi prender dal panico, la psicosi per fortuna è altro.

Come si fa? Non sempre le conoscenze fredde, quelle logiche sono sufficienti a frenare la paura e far sì che non dilaghi in panico. Perché poco potere hanno sui circuiti cerebrali delle emozioni. Non sempre funziona. A volte si. Per cui raccontarsela un po’ con i dati che ci dicono che nella maggior parte dei casi andrà tutto bene, tranquillizza. È un primo tentativo.

Usare le conoscenze pregresse. Fidarsi di qualcuno. Seguire le regole che chi per noi ha stabilito possano andar bene in questa situazione. Non sarò io a raccontare cosa.

Ma tra l’ansia e la paura scorre un filo sottile. Imparare a vedere il virus come una stufa accesa. Non ci posi la mano sopra. La paura del dolore ti frena. Ma non ti agiti vicino ad una stufa. La paura è nobile. Ci aiuta ci salva ci fa lavare le mani prima di mangiare.

Che poi dovrebbe esser abitudine

E se le informazioni da sole non fanno effetto perché dentro di noi quella piccola percentuale suona tantissimo e fa rumore e moriremo tutti, resta il respiro.

Il caffè caldo al mattino. Con la sua sensazione lungo la gola. La luce del sole. Il cuore che batte. La vita che scorre.

Scorre diversa. I bambini sono a casa, e non siamo più abituati a far i genitori 24h. Dobbiamo andar a lavorare e siamo di fretta e abbiamo paura. Panico.

Ferma. Respira. Senti la contraddizione.

So che andrà tutto male. Ma non mi godo lo scorrere del tempo. Perché?

Perché dentro quelle informazioni scavano. Sedimentano. Lo so che andrà tutto come deve andare. Che posso usare quella sensazione nella pancia per tener il metro di distanza, rinunciare alla festa, e la mia vita tornerà a scorrere nelle abitudini normali.

Ma ho il tempo. Che mi dimentico di avere. Tempo per guardare i miei figli, per portar la spesa ai miei genitori, per chiedere a quell’amico lontano come stai?

Quindi si. Puoi avere paura. Ma solo se ti serve. No. Non puoi metterci dei pezzi tuoi in quello che non sai. Puoi fidarti. Respirare.

 

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Fiumi di parole e bambini capricciosi

Un attacco di capricci è un’esplosione emotiva straripante che avviene quando il vostro bambino sente di aver perso il controllo. È la dimostrazione pratica di ciò che vostro figlio prova in quel momento: caos, confusione e sconforto. Quasi sempre i capricci si verificano quando lui si trova con la persona che ama di più, cioè voi. Ma, dopo tutto, sapevate già che essere genitori è difficile! Penney Hames

 

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Neuroplasticità. Plastica. Riciclo.

Inevitabile attivare libere associazioni, il cervello è automatico, risparmiatore, produttore, inventore di idee nuove riciclando quelle vecchie. Noi lo siamo, cogito ergo sum o sum ergo cogito. Uova e Gallina. Brodo. Influenza, coccole. Cura. Affetto.

Tutto nasce dalle modalità di caregiving. Che è una parola così bella che non voglio tradurre. Tutte le nostre connessioni dipendono da come l’altro ci contiene. Dalle esperienza che ci fa fare. Dalla nascita fino a circa i primi due anni anni vita. Ma poi non finisce li, il nostro cervello è caratterizzato dalla neuroplasticità, necessita di integrazioni continue e costanti per mantenersi flessibile.

Il cervello è un organo complesso che si occupa di tante cose, ma riducendo un po’ la sua complessità per infilarlo in un fiume di parole su uno schermo bianco, posso raccontarvi che la prima grande frattura è tra emisfero destro e sinistro. Il primo, quello destro, è molto emotivo, capriccioso a volte mentre quello sinistro è logico razionale, freddo a tratti.

Coordinare tutto il corpo è impresa difficile, ma anche coordinare tutte le funzioni del cervello è altrettanto impegnativo. Nel bambino accadono entrambe le cose in modo quasi contemporaneo. Affina il corpo e mette insieme funzioni cerebrali che sta conoscendo piano piano. E nel far questo si scontra spesso con l’Adulto, essere mitologico che ha già più o meno integrato il suo modo di pensare, di essere, ed è un Io fatto e finito. Ma quell’essere mitologico si trova spiazzato di fronte ad una richiesta che appare un capriccio che appare provocazione da parte di quell’essere minuscolo alto due mele o poco più, fortunatamente rosaceo e non di un colore tendente all’azzurrino che ci spiazza e ci fa arrabbiare perché non comprende la maestosa logica che caratterizza l’essere mitologico.

Nella complessità individuale ci troviamo immersi anche in quella relazionale, con un effetto a volte devastante sulla comunicazione, soprattutto in quella con i bambini. Saper riconoscer quale emisfero sta usando il bambino per comunicare con noi, ci permette di sintonizzarci sullo stessa modalità, entrare in contatto, aprire nuovi canali e capire il significato profondo di quanto ci comunica. Molte parole per dire che dietro ad un capriccio o a un comportamento apparentemente provocatorio, si nasconde un mondo, e per entrarci la chiave è la sintonizzazione. E il più delle volte a parlare è l’emisfero destro del bambino mentre quello dell’adulto è quello sinistro. Logico. Freddo. Calcolatore.

Proviamo ad entrare in contatto con il nostro emisfero destro, sciogliamoci, usiamo i canali non verbali, apriamo quella porta che ci permette il toccar con mano metaforica quanto sta esperendo, diamo un nome alla sua emozione, facciamola nostra.

Si, ma in pratica, che devo fare? 

Fermare comportamenti pericolosi per sé e per gli altri, quello sempre, ma laddove non ci sia la pericolosità ma solo un imponente NO davanti ad un “lavati i denti” è trovare la chiave giusta. In quelle due lettere ci sono tantissime cose che noi tentiamo di smontare in maniera improduttiva con minacce di privazioni di cibo di sonno di playstation televisioni con minacce più o meno reali di denti che cadono e dentiere messe su già a 10 anni. Ma resta un NO. Non esiste la soluzione magica per tutti, ma in generale ci sono alcune strade che val la pena tentare percorrere. Da quella di far diventare il momento dei denti un gioco, una sfida, un ballo scatenato davanti allo specchio con uno spazzolino microfono che pulisce via e combatte i mostri che si insediano tra i canini, alla comprensione della sua brutta giornata perché ha litigato con l’amico e sfoga come riesce le sue frustrazioni, passando quindi alla fisicità, all’abbraccio, alla comprensione e denominazione dello stato emotivo che sta vivendo il bambino. E non ho usato la parola “amichetto” in modo voluto. Perché sminuirei la portata del suo dolore. E la comprensione del suo dolore, la sintonizzazione emisferica di cui sopra, è importante. Capire il dolore, non negarlo, accettato, condividerlo, abbracciarlo. Creare la calma nella quale si può spiegare che i denti se non si lavano si rovinano nel tempo. Ma magari lo facciamo insieme. Perché aumentiamo il tempo passato insieme in maniera piacevole. Cosi’ che avrà un bel ricordo da grande delle esperienze relazionali, le troverà gratificanti. Dopaminergiche.

Fare il genitore è difficile. Mal comune mezzo gaudio. Sorriso. Mia figlia che ride. Chiudo il cerchio e far il genitore è difficile ma è la cosa più bella che mi sia mai capitata. E ho il potere di renderla anche un’esperienza piena di vita. Felice.

Adesso basta. Se avete dubbi, sono qui, in qualsiasi recapito troviate nella mia home page. Se non mi trovate è perché dalla neuroplasticità all’oddio mi sono dimenticata di differenziare la plastica, è stato un attimo. Una sinapsi.

 

 

Pensieri su giornate speciali

Vorrei essere felice. Ma è Natale.

Inutile chiedersi perché, nessuno sa dare chiarimenti.

Sarà perché in testa le rotelle non ha tutte, sarà  perché le sue scarpe sono strette e tanto brutte. O forse la ragione di tanto malumore è che di due taglie.. ha più piccolo… il cuore! Dr Seuss – Il Grinch

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Lo spirito del Natale, la gioia che sprigionano le canzoni, il freddo, la neve, luci suoni odori telefonate messaggi mail, infiniti auguri da sconosciuti cui devi rispondere, persone felici ma che hanno da esser felici? … ma quando finisce?

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Lo spirito del Natale. Il pranzo che si avvicina, le luci, i messaggi di auguri, i sorrisi, i caldi abbracci nei caldi maglioni, l’attesa di poter sentire la carta che si strappa e guardare meravigliati i regali.

Sta sempre tutto nel cervello, e anche lo spirito natalizio ha una suo preciso topos dove stare. La corteccia motoria primaria e la corteccia premotoria dell’emisfero sinistro, la corteccia parietale inferiore e superiore destra e la corteccia somatosensoriale primaria bilaterale. Diciamo che occupa una buona parte del nostro chilo e mezzo nella scatola cranica. Queste aree sono deputate a svolgere molti ruoli, per esempio i lobi parietali sono coinvolti in quella parte spirituale della nostra personalità, la corteccia premotoria si attiva nelle emozioni condivise con gli altri. Queste aree si attivano e danno vita a quello che è lo spirito natalizio. In alcuni però non accade, quelli che si riconoscono di più nella prima affermazione, quella per cui il Natale, tutto questo tripudio di gioia, non è.

Il Natale può attivare non solo sentimenti di gioia, ma anche un male di stagione, Seasonal Affective Disorder, non proprio un banale raffreddore, ma legato alla mancanza di esposizione alla luce, alla presenza di  freddo, attacco di virus e batteri, e che porta i quadri depressivi fuori dal letargo, ed è condito a volte dall’amplificarsi della sensazione di solitudine, il terribile paragone con gli altri che hanno l’agenda piena di appuntamenti veri con amici veri fanno e ricevono regali veri mentre io ho tutto il caos intorno e la solitudine dentro. E il Natale fa male, e quelle aree cerebrali che negli altri si attivano, non si attivano in me. E non solo, amplificano un qualcosa che era dentro.

E allora divento Grinch.

Sul perché si diventi verdi, ci sono moltissime storie nascoste. Ricordi di passati Natali non felici, storie di vita complesse, mancanze che si fanno sentire.

Ma Dr Seuss ci racconta un finale magico, quello in cui, grazie ad una nuova storia di vita, fatta di una modalità di accudimento diverso, si cambia, rimanendo sempre sé stessi, ma illuminando a festa anche quelle parti del cervello che non ne volevano sapere di cantare Merry Christmas. Regaliamo tempo prezioso. Regaliamo tempo di ascolto, di cura, di coccole. Ogni interazione ci cambia le sinapsi.

Il mio augurio è questo. Di incontrare per caso, in casa, sul treno nei posti più improbabili, un buon scambiatore di sinapsi che faccia la magia di Natale e accenda le luci non solo sull’albero, ma anche nella corteccia prefrontale

Buon Natale

Manuella Crini

 

 

 

#pensieriallacaffeina, Pensieri su giornate speciali

Mi hanno insegnato che le donne non si toccano nemmeno con un fiore. Ma poi le ho viste uccise in tanti modi.

Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna! William Shackespeare.

Non mi Sono mai accorta che mia figlia stesse crescendo. Cioè, lo so. Ma l’ho sempre trovata uguale. Giorno dopo giorno. Eppure lo so che pesava poco più di 3kg e ora è quasi alta come me. Ma non l’ho notato mentre cresceva. È sempre lei. Sempre uguale. Eppure diversa.

Quando il cambiamento avviene lento, sotto ai nostri occhi, non lo percepiamo. Riadattiamo l’immagine che abbiamo di quella persona, luogo, relazione, un salvataggio continuo.

Così che quella persona splendida con cui si è deciso di stare, non si è svegliato mostro alla mattina. Ma è cambiato piano. Prima una parola. Uno sguardo. Uno schiaffo. Un pugno. Le scale. L’ospedale. Un Cambiamento lento e costante. Continuo. E nella mente un tentativo di combattere la dissonanza cognitiva e di aggrapparsi all’immagine della persona di cui ci era innamorati.

Ma la violenza c’è. Fatta di parole. Di segni sulla pelle. Di umiliazioni continue e di Paura.

Non inizia sempre in modo brutale. Si manifesta lentamente. Piccoli cambiamenti. Cui non si da peso. Che non si vedono quasi. Una gelosia. Una negazione. Ci si adatta in una situazione giustificando tutto in nome di un amore che di amore non avrà nulla. Le parole da sole sono capaci di far disastri incredibili. A volte la violenza resta su questo piano. Invisibile, perché i lividi sono dentro al corpo. Nessuno li riesce a notare. Altre volte si trasforma. In violenza fisica. Mescolata ad una sottomissione emotiva.

Chiedere aiuto è difficile. Fa sentire deboli, fragili, in colpa. Dall’esterno possono arrivare segnali che ci fanno sentire poco adeguati. Come se fossimo artefici del dolore che proviamo. Altra violenza. Sulla violenza.

Oggi è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Perché si sa, le donne sono una parte fragile della società. Più facilmente vittime perché hanno una vagina e pochi diritti ancora. Sono quelle che insieme ai bambini andrebbero salvate per prima. Quelle per cui si disegna una riga rosa per terra. Ma sono quelle che tra le mura domestiche vengono riempite di botte. Di insulti. Di violazioni continue e costanti. C’è tantissimo da fare per uscire da un tunnel buio e mal arredato. Comprendere. Comprendere è una parola bellissima, che sfugge al giudizio, che non lo tollera e non lo attiva, ma accoglie e aiuta. Senza far violenza sulla violenza. Supportare. Tener su una parte che sta cedendo. Non lasciando sola chi è già stata lasciata sola troppe volte. Isolata dal suo stesso carnefice. Tendere la mano. Dar presenza. Esserci. Esser lo spazio per aiutare ad uscire da quel tunnel.

Se non lo avete ancora fatto, io leggerei Non dirmi bugie. Per capire come ci si sente dall’altra parte. Da quella della vittima di violenza. Cosa accade nel suo mondo. Perché è difficile uscirne.

E se leggendo queste parole hai sentito qualche rumore dentro, qualche specchio che si è rotto, rompi anche il silenzio. Ci sono molte figure che possono ascoltarti e centri antiviolenza pronti ad accogliere. Non si è mai soli.

La dott.ssa Manuella Crini riceve nel suo studio in Corso Borsalino 13 ad Alessandria. Altre info nella home del sito. L’immagine appartiene alla raccolta Di Schiena, realizzata da Lucia Bianchi nell’ambito di un progetto portato avanti con Medea – Alessandria.

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Come sopravvivere all’amore

Ognuno porta in fondo a sé stesso come un piccolo cimitero delle persone che ha amato. Romain Rolland

Cosa rimane quando una storia finisce?

Dove vanno a finire tutte le parole, le sensazioni?

Che cosa resta di me senza te?

Amerò ancora? No. Non voglio più soffrire per amore.

Come se tutto il Male finisse dentro al cuore. Quell’organo perfetto che pompa sangue e sentimenti, come se dalla metafora diventasse un centro nevralgico, un dolore acuto e insopportabile che tocca anche il respiro. Lo priva di automatismo e lo rende difficile. Difficile come sopravvivere. Ma non é lì che sta l’amore. Come quasi qualsiasi cosa che ci riguarda, ha un suo sostrato che sta un po’ più in su del cuore. Lontano da lui e più vicino agli occhi. Sta in quel chilo e mezzo dentro la scatola cranica. Dove le cellule comunicano in modo elettrico tra di loro, formano onde e complicate reti dove incastrano il ricordo e lo manipolano e lo rendono perfetto e dove nasce la sofferenza.

Si guarisce. Dalle pene d’amore si può guarire. A volte è fisiologico, altre volte serve un pace maker, ma se ne esce diversi ma non per forza peggiori.

Perdere un amore è un lutto con un cadavere ancora in vita. Un ossimoro difficile da gestire.

Nasce allora questo spazio dove condividere e raccontare che cosa sta accadendo tra cuore e cervello. Scrivimi nella posta sulla pagina Facebook di Manuella Crini o nei contatti che trovi nella homepage.

Racconta la tua storia. Il tuo dolore. La tua cura. In modo anonimo diventerà un pezzettino di storia da tenere qui.

Ti aspetto

Manuella

Difficoltà psichiche

Contro l’assalto delle risate, nulla può resistere. Mark Twain

 

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Happy, sorridi. Appari felice, piuttosto che essere felice. Disegnati il sorriso sul volto e cerca di far felici gli altri, piuttosto che te stesso. Esasperato, dentro un contesto patologico, questo continuo ricercare una felicità senza viverla, porta alla nascita del crimine. Un crimine non vendicativo, ma solo specchio di un vuoto empatico.

Sorridi sempre, anche se il tuo sorriso è triste, perché più triste di un sorriso triste, c’è solo la tristezza di non saper sorridere. Jim Morrison

Una mamma con un disturbo di personalità, un bambino adottato delle cui origini  non si sa nulla, abusi, sevizie, uscire da questa strada intatti, è difficile. Ai limiti dell’impossibile. E in questo terreno così ostico ne viene fuori un personaggio che da sempre suscita un senso di attrazione, perché è istinto, perché è capriccio, perché è caos. Nel totale ribaltamento delle aspettative, il personaggio nero, scuro, senza espressioni sul volto, rappresentato da un pipistrello, è il buono. La faccia buona del continuum bene vs male. E il male trae la sua origine in un torbido fatto di colori. L’empatia che manca ad Arthur, non manca a chi guarda la sua storia. A chi lo vede bambino, legato ad un calorifero. Percosso. Fa scattare quel senso di accudimento, di impotenza e di rabbia che ci fa schierare dalla sua parte, nel tentativo assurdo di trovare un confine logico tra il bene e il male. Fa sentire inadeguati spostarsi dalla parte del male e tifare per lui. Ma c’è un momento in cui questo senso di inadeguatezza si tranquillizza. Quando tutti indossano la sua maschera. Quando tutti ammettono che la responsabilità del loro star male è data da una causa esterna, che va punita. La società. Quella roba che già Freud sosteneva, nel 1929, avrebbe creato un forte disagio, perchè la forbice con la biologia stava diventando troppo ampio. 90 anni fa. La civiltà soffoca i nostri istinti primari, brutali e inaccettabili a volte, e la società li schiaccia con leggi e punizioni, per sopirli. Ci ritroviamo in sintonia in questa situazione. E non siamo soli. Dividiamo la responsabilità di quanto sta accadendo, la mettiamo capo a Joker e ci sentiamo più leggeri.

Ma chi Joker?

Arthur è figlio di una donna narcisista. Una donna con un legame possessivo nei confronti del figlio. Fortemente manipolatoria, e incapace di dare amore, e di sostenere la differenziazione psichica nel figlio. Si, quella donna così fragile e sorridente, perché il male, inteso come origine del dolore negli altri, non sempre ha una faces prototipica, ma spesso ha forme piacevoli. E’ come se ad Arthur la felicità fosse solo stata narrata, e mai vissuta. E quella narrazione ha preso la forma di una maschera sul volto. Dove era disegnato un sorriso, la manifestazione universale della gioia. Ma quale vuoto immenso deve aver provato ogni volta in cui quel sorriso non corrispondeva la sensazione di benessere, tanto da renderlo agonizzante, atroce. Quanto dolore in una risata. Una risata patologica. Irrefrenabile. Una risata che solo una malattia mentale riesce a spiegare. Ma la matrice di quella malattia affonda anche nella società. Una società che non è stata capace di accogliere un bambino abbandonato, se non affidandolo alle cure di una donna sola e malata, una società che non ha saputo contenere la patologia quando diventava più forte ed una società che infine si rivela fatta da molti individui che soffrono. Una società che mi ricorda molto quella che veniva dipinta dalla scuola di Chicago negli anni ’30, che vedevano nella disorganizzazione sociale, l’utero del crimine.

I traumi subiti da bambino, le percosse possono aver dato origine a danni anche di tipo fisiologico, oltre che di natura psicologica e relazionale. La mancanza di empatia, ha fatto si che in qualche modo, anche in assenza di un corredo genetico condiviso, si instaurasse un disturbo di personalità, più istrionico che narcisista, e che con questo ha un forte legame. Ma sembrano esserci più disturbi in quel corpo così privo di ogni forma di amore. Una perdita di contatto con la realtà, tale da produrre allucinazioni che possano riempire quel senso di abbandono che si porta costantemente dietro. Un probabile disturbo dell’umore. E questa risata inadeguata. Inopportuna. Un urlo che nessuno riesce a capire e ad accogliere.

Joker è una difesa. E’ il prodotto di una malattia non solo individuale, ma collettiva. E’ la risposta ad una storia di vita che è stata dipinta in modo da farne percepire la plausibilità. E’ una difesa che diventa maschera. In parallelo alla maschera che indossa Batman. E’ il lato in ombra della collina. Una polarità.

Ridi sempre, quando puoi, è una medicina gratuita. Lord Byron

La dott.ssa Manuella Crini pienamente consapevole che Arthur Fleck è un personaggio che non esiste nella realtà. Che non si fanno diagnosi basandosi su pochi elementi visti su un megaschermo, ma ritiene che Todd Phillips e Joaquin Phoenix abbiano caratterizzato un personaggio in modo così vivido e toccante, che era davvero un crimine non usare tutto questo materiale per sfiorare così tanti argomenti. Il disegno è di Riccardo Filimbaia. Per chi lo volesse su pelle, può contattarlo. 

Abbiamo sempre considerato la risata come qualcosa di contagiosamente bello. Capace di comunicare la gioia e farla sentire agli altri. Questo film smonta questa certezza. E ci fa riflettere su quanto sia fondamentale esprimere ciò che si sente, dandogli il giusto nome. 

benessere

Vivere in slow motion

C’era una lumaca che, pur accettando una  vita lenta, molto lenta, e tutta sussurri, voleva conoscere i motivi della lentezza. Luis Sepúlveda

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Era li da sempre, solo che non l’avevo mai vista. E’ una piccola edicola con un disegno che si sta sbiadendo. Racconta la storia di due fratelli salvati dalle acque di un fiume da una donna bellissima. Credo sia incastrata nel cemento e nelle pietre da almeno 60 anni. Semplicemente, non l’ho mai notata. Passiamo di fretta davanti alla vita. La sfioriamo e non dinamo nemmeno ai nostri sensi il tempo di attivarsi, di registrare un evento. Corriamo oltre. Eppure insegno questo. Insegno ad esser lumache nel nostro tempo, a dar ascolto al nostro respiro, a provare a sentire quel battito che porta ossigeno ovunque, ad esser così accorti a quello che ci accade intorno da poter vivere la vita ora. Non ieri. Non domani. Ma farla collassare nel presente.

Camminiamo ogni sabato mattina. Chiacchieriamo, respiriamo, ci concentriamo sul presente. Quel piccolo percorso interiore che sto insegnando, ha avuto la meglio anche su di me. Ho imparato dopo quasi 100km ad esser lumaca sulla mia strada del ritorno.

E’ stato un momento di riscoperta di me, nel veder la mia fallacia dipinta. Ma possiamo esser imparare a esser lenti. A non andar sempre di corsa con il pensiero, perché le gambe possono anche andare, ma il pensiero deve rallentare, deve smettere di essere multipensiero, deve frenare all’improvviso e guardarsi intorno.

E’ solo un’edicola. Una piccola costruzione votiva. Ma chissà quante cose ci sfuggono, quel sopracciglio alzato del nostro interlocutore, quella persona che tenta con il suo sorriso di iniziare una conversazione con noi, quel piccolo dolore alla base del collo che sta urlando qualcosa. Ma il pensiero è più veloce delle gambe ed è già a cena. Tira il freno, respira, guardati intorno. Scopri la tua vita.

 

La dottoressa Manuella Crini collabora con il centro Be-Good e promuove camminate consapevoli ogni sabato mattina. Per info 01431431900

Senza categoria

Che cosa me ne faccio ora di tutta questa adrenalina?

Questa è adrenalina, Lindsey, la sentirai. Mission impossible III

È una parola che ha un bel suono, neurormone. Un qualcosa che nella sua infinita piccolezza regala sensazioni di paura mescolate ad una sensazione di euforia. Nelle situazioni di pericolo, quelle classiche, quelle per cui devo combattere o fuggire, questa catecolamina, o meglio, un esercito di catecolamine, fanno si che il corpo sia pronto. Questo si traduce in una maggiore irrorazione dei vasi sanguigni, dilata i bronchi, fa aumentare il battito cardiaco, rende ogni muscolo pronto all’azione. Mette in disparte tutte quelle funzioni che non sono necessarie nel processo di lotta o fuga. Come il sistema della riproduzione. Beh vi voglio vedere nel tentativo di copulare mentre siete in pericolo. Ma non sempre siamo in pericolo di vita. L’esercito parte anche in situazioni che non sono oggettivamente pericolose, ma sono mentalmente fonte di pericolo. Cioè la nostra personalissima valutazione dell’evento rende un qualcosa di non pericoloso, pauroso. Come un esame. Il cui risultato indirizza la nostra vita da una parte o dall’altra. E l’esercito di rende capaci di affrontate le sfide. Portano energia ovunque con un’azione mirata.

Ma poi tutto finisce. Il pericolo vero o potenziale o vissuto come tale, smette di sussistere. E nessun soldato si ritira nelle proprie stanze senza festeggiare. Così resta quella sensazione che si percepisce in ogni parte del corpo. Possono anche esserci tremori, sensazioni di defaticamento. E noi possiamo sederci e osservare il corpo che tende all’omeostasi assaporando ogni cambiamento che avviene dalla punta dei piedi fino a quella delle mani passando attraverso ogni cellula.

L’adrenalina è associata alla produzione di dopamina, che completa il quadro delle sensazioni di benessere accelerato che sentiamo. Ma non a tutti basta quella sensazione. L’effetto che provoca può creare una dipendenza per cui si continua a ricercare quella sensazione. Mettendo in atto comportamenti pericolosi o illeciti. Fino a mettere in pericolo la propria vita a volte.

Non è sempre immediato capire quando è presente una dipendenza da adrenalina. È una situazione caratterizzata dalla ricerca attraverso sport estremi o situazioni al limite. In cui le relazioni sociali sono le prime a soffrire. Una situazione che andrebbe in qualche modo sviscerata, per comprendere da dove nasce il bisogno.

E abbiamo aggiunto un altro importante organo al nostro corpo, in grado di completare come un puzzle ciò che siamo. Il surrene. Quel piccolo organo da cui la nostra epinefeina parte per tutte le battaglie. Il momento più bello per me, è la sensazione di ritorno a casa. La mia omeoatasi.

La dott.ssa Manuella Crini si occupa di consulenze psicologiche.

Difficoltà psichiche, Senza categoria

Molti diedero al mio modo di vivere un nome e fui soltanto un’isterica (A Merini) di isterie di vibratori e di poesie di resistenza

Ad esempio Charcot dimostrò che i fenomeni isterici sono qualcosa di autentico e conforme a uno scopo, che l’isteria è molto frequente negli uomini, che paralisi e contratture isteriche possono essere provocate dalla suggestione ipnotica e che questi prodotti artificiali hanno, fin nei minimi dettagli, le stesse caratteristiche degli attacchi isterici spontanei che spesso vengono provocati da un trauma.                                   Sigmund Freud

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L’utero è mio e lo gestisco io. Quella roba che quando ho visto alla mostra dei corpi, così piccolo e indifeso, una piccola tasca in grado di contenere, accogliere e far crescere una vita, mi ha stupito nella sua fragilità e minutezza. Capace di adattarsi ai cambiamenti, di deformarsi fino a prendere una forma che nulla ha a che vedere con l’originale, capace così tanto di rappresentare l’essenza dell’essere umano. Isteria parte da li, da Ystera, utero. Una malattia dai toni prettamente femminili. Una forma di psicopatologia. Le radici sono antiche, egiziane, e si riteneva che uno spostamento dell’utero potesse causare alterazioni psichiche nella donna e la soluzione era cercare di riportare questo organo dotato di potere maligno e benevolo al posto giusto.Oppure starnutire. No, non ridere, la medicina ha una storia complessa e affascinante e Ippocrate usava una sedia rotante per riportare gli umori al posto giusto e l’utero si poteva sistemare anche starnutendo. Le isteriche sono state poi streghe, esseri posseduti dal maligno, insensibili al dolore durante le crisi. E si passò all’uso degli ovuli, quando il rogo non funzionava. La scienza a tentoni cercò di dare una qualche giustificazione che tenesse un po’ di più e allora si ipotizzò che in qualche modo l’utero che si ammalava, diventava freddo e intaccava altri organi interni causando gli spasmi tipici dell’isteria. La menopausa era considerata causa di psicosi, come se tutto girasse intorno, nella donna, a quella piccola tasca marsupiale che permette la vita. L’isteria è anche stata trattata con massaggi. Quelli con happy ending, che guai a chiamare orgasmo però, erano solo parossismi isterici, una manifestazione particolare legata alla patologia. Si è passati alla cura con il vibratore, che nasce come strumento medico e poi, fortuna nostra, è diventato strumento di piacere. Ma anche attraverso pratiche brutali che prevedevano la clitoridectomia e l’isterectomia. La strada per arrivare ad affermare che l’isteria non ha a che vedere con l’utero, ma è legata ad un altro organo, sempre meravigliosamente plastico, ma che sta un po’ più in su, è stata lunga, e si arriva a Parigi, da Charcot, che descrisse in modo accurato gli attacchi isterici, dalle pose plastiche alla fase allucinatoria. Siamo poi passati attraverso Anna O., la paziente di Freud, di cui magari vi racconterò più avanti, riportando tutto ad una sfera affettiva traumatizzata.

Nell’immaginario popolare la donna isterica non assume pose plastiche, nessun arco isterico. Diventa la donna lunatica, quella che ha crisi improvvise di rabbia, di panico, che non riesce a contenere tutto il tumulto emotivo che ha dentro. Da psicopatologia a parola offensiva per minimizzare a volte un bisogno, la strada è stata apparentemente breve, ma degli antichi egizi ad oggi è stata lunga.

Che cosa resta dell’isteria oggi? Si parla di disturbi di conversioni o di personalità istrionica e analizzando la radice del termine, si ritorna all’utero. E della parola isteria resta solo la parte sfregiativa, quella che taglia la pelle dell’emozione, che ti dice che il tuo urlare o il tuo piangere o la tua paura, non hanno dignità. A volte è un bisogno urlato, perché non sia aveva lo strumento giusto per parlar a bassa voce, è uno sfogo troppo a lungo taciuto. E’un dolore che va lenito, un dolore che va ascoltato e a cui dar forma. Ma le sue parole vanno più dirette a quella parte del cervello che è capace di emozionarsi ancora. E ve le metto qui.

 

Sai cosa ti dico?

Ch’io la amo questa mia isteria.

E sai perché la amo?

Perché è mia.

E perché dopo tanti anni ti ho rivista

– amica mia –

tu con due bambini in braccio

io con un figlio già cresciuto

a domandarci se sia vivo

tutto quel che abbiam taciuto,

mentre tu scegliesti di restare

con un uomo sempre assente

ed io optai per il partire

– che intanto non cambiava niente –

Per essere poi sole tutte e due

ancora a domandarci se sia colpa

di quella parte di incoscienza

che ci ha viste scanzonate

per il mondo

come sciocche ragazzine.

Ancora a domandarci

se non dovremmo pianger mai

non essere invadenti

non alzare mai la voce

nascondere il minuto di paura

condannare

quell’espressione di isteria

che eppure sai cosa ti dico

amica mia?

Io la amo, perché è mia!

Perché è il frutto

di quello che ho vissuto

figlia legittima di ciascuna frustrazione

di ogni atto di coraggio

di tutta quella tentata umiliazione

a cui -alla fine-

non abbiamo mai ceduto

come mai lo abbiamo fatto

con il misero ricatto

che ci vorrebbe con un culo

piccolo e perfetto,

che ci vorrebbe a metter ordine

la sera

nella vita di uomini

sempre troppo stanchi per capire

quanto sia caro il prezzo

del dover essere perfette

e donne e madri e mogli

e amanti e figlie

e a letto anche un po’ puttane

senza mostrare mai stanchezza

né paura

come se esser forti

volesse poter dire

aver messo al cuore la sicura

o come se esser grandi

volesse poter dire

abbandonare la bambine

che siamo state allora.

E invece sai cosa ti dico, amica mia?

Sfogati, urla, spacca tutto

gridalo in faccia a questo mondo

che hai paura

diglielo che non te ne fotte niente

della costosa perfezione

che non taci mai a comando

che non rotolerai nel fango

di quella schiavitù silente

che ti vuole sempre bella e sorridente

per cui – mi raccomando –

sii carina spiritosa ed accogliente

comprensiva, empatica e accudente

ma assolutamente mai invadente!

Mai stanca, mai sciocca,

mai bambina,

– E smettila con le richieste di attenzione!

Non vedi che oggi non ne ha voglia? –

– Ma come sei fragile! Dio!

Cosa ti piglia? –

Avresti forse voglia di gridare?

Di pestare i piedi

di impuntarti e non parlare?

Di mandare a fare in culo

tutto il mondo?

Di chiedere un abbraccio?

Di pregare una carezza?

Di supplicare che sia legittimo

questo minuto di incertezza?

Sai cosa ti dico?

Fallo adesso – amica mia

prima che sia tardi e vada via

questo splendido momento di isteria.

#poesiediresistenzafemminile

 

Si ringrazia l’artista e Amica Amanta Strata, per aver dato un senso nuovo ad una parola che è stata stravolta nel suo significato originario e aver ridato dignità ai bisogni, quelli che se non sono compresi, restano intrappolati e volte urlati. Ridiamo dignità alle emozioni, che sono quelle che ci salvano. Sempre. Grazie.