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Nel fango e nella polvere

Raccontaci del tuo paio di scarpe preferite e di dove ti hanno portato.

Mettiti nelle scarpe di un altro e prova a camminarci. Deve essere quella l’empatia. Sentire ad ogni passo come incliniamo il corpo per rispondere alla vita.

Le scarpe con i tacchi mi hanno sempre portato in luoghi dove potevano rompersi. Perché la femminilità è tanto dura quanto fragile.

Le scarpe eleganti mi hanno sempre portato in farmacia a comprare cerotti, perché il formalismo è doloroso. Perché comprime in qualcosa che non abbiamo deciso noi.

Le scarpe da correre mi hanno sempre portato nel fango e nella polvere. Nei posti sporchi con i piedi bagnati. Dove il cuore batte forte e il fiato si fa corto. E non ci sono forme dentro cui schiacciarsi e non ci sono maschi, femmine e stringhe. Ma ci sei solo tu.

Le scarpe da corsa sono quanto di più libero si possa avere ai piedi. Serve solo il coraggio di sporcarsi

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Amati. Almeno un po’

Amare sé stessi è l’inizio di una storia d’amore lunga tutta una vita

Oscar Wilde

Una delle più orrende bugie che ci propinano è che per essere amati serve prima imparare ad amare sé stessi. Che cazzata. Epocale. Mi può amare chiunque anche se io mi schifo. Beh, sto meglio se mi amo. Almeno un po’. Ma anche se io non mi amo, anche se mi schifo, qualcuno che mi ama in qualche parte del mondo, c’è. E forse attraverso i suoi occhi imparerò anche io ad amarmi per quella che sono. Ad avere il coraggio di farmi schifo ogni tanto. A prendere per buoni i miei pregi, ad avere il coraggio di accettare quello che non posso cambiare. Del resto noi amiamo anche il brutto. Il pannolino sporco, il vomito addosso senza correttore, il corpo perfettamente imperfetto e i segni del tempo.

Amati per quel che riesci. Metti amore dove riesci. E congratulati con te ogni volta che lo fai. E va bene anche se non hai voglia di star solo. Perché siamo animali sociali e l’equilibrio nella nostra solitudine è solo nostro.

Smetti di rincorrere tutti gli ideali, scrollati di dosso quello che non ti va. Ridi, corri, ascolta musica. Goditi il tempo con te e con gli altri. Guardati allo specchio e cerca un difetto e compensalo con un pregio. Che tanto sono solo parole. Mai assolute. Il mio peggior difetto può essere quello che l’Altro vede come mio miglior pregio. È tutto relativo se ci metti amore.

Amati solo un po’, fallo oggi. Anche una piccola parte di te. Guardati come il cane guarda la ciotola del cibo. Come il gatto guarda la scatola che contiene il regalo che hai comprato per lui.

Buon San Valentino al sapore di cioccolato e caffè

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Alla caffeina

Lou Reed diglielo tu

Drink sangria in the park

La giornata perfetta inizia con un caffè nero. Bollente. Che va fatto raffreddare prima di essere bevuto perché la fretta fa perdere i sapori. E bruciare la lingua.

Continua con le fusa del gatto, perché i sensi servono tutti. e le fusa sanno calmare. Sanno far sorridere.

E poi si ha da lavorare. Il travaglio francese, che nella sua bellezza genera un pezzo di vita. Quel posto nel mondo che se ami, non ti sembrerà mai di faticare.

E poi la cucina. Le mani in pasta. Nella farina, a sporcarsi di odori rumori e cambiamento.

Esseri umani. Ovunque. Piccoli grandi vicini lontani. Riempirsi la vita di altre vite, prima di dormire, nel buio di una stanza con la luce della luna e il rumore del silenzio

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I bilanci di Natale

Se ci diamo la mano
i miracoli si fanno
e il giorno di Natale
durerà tutto l’anno – Gianni Rodari

Tra le scadenze burocratiche di fine anno prende il sopravvento in maniera potente il bilancio di fine anno. Non c’è nessun commercialista che ne chieda conto, ma diventa un automatismo spinto anche dai buoni propositi che imperversano e che resteranno fermi fino a settembre.

Caro Babbo Natale, sono stato davvero buono? Ho saputo rispettare me stesso come merito? Tu che tutto puoi, che tutto osservi, mi sai dire se davvero ho passato un anno comportandomi bene e quindi mi merito i regali che ti sto chiedendo? Posso avere un po’ di felicità nell’anno che sta per arrivare?

E così Babbo Natale diventa un me stesso con cui parlo, divento io l’osservatore di me stesso, un osservatore che non scappa comunque dai meccanismi più antichi e guarda inizio e fine dell’anno passato, dimenticando il “costruire” che sta all’interno e non me ne voglia Niccolo Fabi, ma inizio e fine sono due aspetti che facilmente ricordiamo. Quello che sta dentro, a meno che non sia crema al mascarpone dentro al pandoro (a me il panettone non piace e chiuderei qui la diatriba inutile), lo scordiamo.

E allora facciamo questo dannato bilancio, sforzandoci anche di ricordare i mesi centrali. Ma come si fa? Come analizzo tutto quello che mi è accaduto in 365 giorni in modo da poter pianificare i venturi in modo che io possa raggiungere vette del benessere ancora inesplorate?

Per far un bilancio servono operazioni, non chirurgiche, ma quasi. Matematiche soprattutto, fatte di somme e sottrazioni. Chi ero e chi sono. Chi volevo essere e chi sono diventato.

Cosa mi ero proposto lo scorso anno? Che avrei fatto palestra? Che avrei lavorato di più o di meno? Che avrei trascorso più tempo in famiglia? Che avrei potato rami secchi?

Partiamo da lì, cose semplici. Che nascondono molto di noi, del nostro ideale. Del nostro Natale.

Niente Grinch per quest’anno. Perché tanto anche lui ama il Natale. Ne ha avuto uno. Senza saperlo ma non senza volerlo. Cerchiamo il Natale dentro di noi. Quella rinascita anche piccola che ci farà sorridere tra 365 giorni.

L’ augurio fatevelo da soli, non perché ne sia a corto, ma perché ognuno di noi sa cosa volere per se stesso. E se non sa come ottenerlo, il primo passo è capire se qualcuno intorno a noi, o anche più lontano, può aiutarci a togliere la nebbia e vedere la strada. Siate Babbi, (non troppo ma nemmeno troppo pochi) siate Re Magi.

Buon Natale

Manuella

Pensieri su giornate speciali

Pensati libera, ma non distruggere il palco

“I ragazzi oggi sono troppo indecisi” Chiara Ferragni

Mentre scrivo il suo occhio mi guarda dal righello di mia figlia. Una riga di occhietti apparentemente inutili che per la mia bambina rappresentano un personaggio che letteralmente adora. E sono molto lieta che le piaccia un viso gentile e senza vergogna. Ma tralasciando i miei personalissimi giudizi sulla persona, volo su quel pensati libera che ha scatenato meme su meme verso l’infinito ed oltre.

Nel mentre un diciannovenne ridendo “distrugge un palco”. Perché pensarsi liberi ed essere liberi sono due cose diverse. Completamente.

Nessuno è libero. Nemmeno Blanco. Nemmeno Grignani. Ma questo già c’è lo diceva Marco Masini cantando vaffanculo.

Per essere bisogna pensarsi. Cogito. Anche se il pensiero è emerso nella storia della vita dopo l’esistenza, è riuscito in modo potente a ribaltare le carte in tavola, ponendosi alla base del castello. Di carta appunto.

Partiamo dal principio, dal brodo primordiale, quando la vita era più facile e si potevano mangiare anche le fragole, ma poi la vita è un brivido che vola via, ed essere unicellulari, diciamocela tutta, faceva schifo. Come avere le branchie. Meglio essere uomini che inquinano le acque che cercano di ripulire per mangiare i pesci e fare il bagno e tintarella di luna e altre canzoni che trovano sempre uno spazio per esistere.

Complicandoci la vita, anche con grosse comunità di persone organizzate, è sembrato carino per l’evoluzione donare i lobi frontali che tra le altre cose permettono il pensiero, la mente, la metarappresentazione di noi stessi. Sum. Ergo cogito.

Ma come i poli dell’asse terrestre ogni tanto cambiamo polarità, anche questa dicotomia si è invertita e l’essenza del pensiero è quella che pra permette l’essenza dell’esistenza.

Pensati libera. Crea quello spazio mentale in cui puoi essere libera. La libertà non esiste in realtà. Siamo comunque vincolati da così tante cose che le parole in questo articolo diventerebbero troppe e ancora più confuse. Ma il pensiero crea nella mente quello spazio di libertà. Il pensiero della libertà è lo scaffolfing della tua libertà. Senza quel prezioso ponteggio ogni azione che tende alla libertà diventa inutile. Perché non ancorato al progetto di sè stessi.

È un pensiero di una profondità così abissale che tira dentro in modo così potente che è diventato virale senza rendersene conto. Ma è un sunto splendido.

Sentiti libera ma non distruggere il palco. Perché se lo fai dai lo spazio a tutti di dire che le nuove leghe sono maleducate e cafone. Perché la libertà ha un piccolo confine invisibile. La mia libertà finisce dove inizia quella di un altro. In uno splendido gioco di bolle di sapone che devono galleggiare delicate per non bucarsi. Doveva far molto più rumore una scritta nero su bianco. Non rosa su Blanco.

Pensarsi libere significa non appartenere a nessuno. Essere liberi vuol dire non ledere nessuno mentre ci esprimiamo. Blanco si è espresso. In un vuoto di rumore nelle sue orecchie ha vissuto il suo video giocando tra le rose e l’indignazione di chi cerca cause scavando anche in una sua potenziale infanzia vacua di ceffoni al punto giusto. Se le rose non soffrono, allora Blanco si è solo espresso liberamente. In un gioco di petali che indubbiamente non lo renderà libero e non gli permetterà di pensarsi tale. E io mi sento libera di non giudicare un quasi ventenne massacrato poi delle sue stesse rose.

Pensiamoci libere. Ma pensiamo che anche gli altri lo sono. A volte poco, a volte troppo.

Manuella Crini, da psicologa capisce della musica che serve a far esplodere o implodere le emozioni. Della moda non capisce molto se non che sia un manifesto di se stessi. Di Sanremo sa che è uno spazio che permette di parlare di tutto.

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A Natale puoi. Almeno a Natale non dovere sempre.

  • Cosa chiedi a Babbo Natale?
  • L’estate

Qualsiasi forma abbia avuto in origine in Natale, lo immagino umile e intorno al fuoco, con poco cibo e nessun albero decorativo pieno di carta patinata. Abiti color mattone, grembiuli sporchi e facce stanche. Poi la mia mente vola agli anni ’50, alle famiglie delle pubblicità, con la piega sempre a posto, la cucina linda e la tavola imbandita. Mancando i cellulari non era così semplice augurare buon Natale agli amanti.

Ora lo immagino al supermercato, a cercare il piatto che esca dalla tradizione rimanendoci dentro, utopico come il regalo perfetto. A cercare ii regali anche su Vinted o Tik Tok, in ansia per il look perfetto delle feste. Poi immagino il Natale in solitudine, che magari vuoi anche ma che fa talmente strano volerlo che ci si deve sentire soli perché senza un tavolo cui sedersi. Tavolo con rigorosamente 40 parenti che non vedi da almeno un anno, pronti a far domande indiscrete che nemmeno il prete osa fare. Immagino il Natale silenzioso delle famiglie che vivono difficoltà, in cui nel piatto si spolverai tiramisù con la vergogna di non avercela fatta. Povero Gesù, che pandemonio per un compleanno per lui senza regali.

Ha tante facce il Natale. E un dono potente. Esplosivo, far sentire in maniera amplificata tutte le sensazioni, tutte le mancanze, tutto quello che si voleva essere e non si è. Il giorno del giudizio. Il nostro su noi stessi. Esistono molte guide su come sopravvivere al Natale, ed è buffo pensare di dover sopravvivere ad una festa, non ci sono guide su come sopravvivere a Ferragosto. Quindi forse il trucco è non cercare una sopravvivenza, perché non è un pericolo. E finché lo viviamo come tale è inevitabile che nel cervello si attivi quel campanello che urla “allarme” e fa salire l’inevitabile ansia.

Prova a fare quello che ti senti, non quello che sentono gli altri, che tanto fanno anche loro quello che sentono altri creando circuiti incredibili di aspettative e sensi di colpa senza delitti compiuti. Altrimenti si evira il Natale di quel senso di tavola umile e volti stanchi che cercano il riposo in un giorno di festa tra altri volti stanchi. Prova a fare solo i regali che senti, prova a cercare quelle sensazioni di quando eri bambino, della magia del Natale, prova a chiederti cosa vuoi, cosa vuoi tu davvero e non cosa si aspettano gli altri che abitano nella tua testa. Prenditi cura di te, non dell’immagine che vuoi che sia stampata nella mente altrui. Prova a parlare con quelle emozioni che senti, che ci sono sempre, ma sono meno propense a gridare. Prova a dargli un senso, a capirle, perché le emozioni sono quanto di più razionale abbiamo. Prova a surfare su quelle onde negative, senza che abbiano il sopravvento.

Di consigli pratici è pieno il web, il vicino di casa, il panettiere. Ma cosa vuoi davvero, quello lo sai solo tu. E una volta che lo focalizzi, cerca di raggiungerlo. Vuoi passare il pranzo a mangiare? Fallo. Vuoi andare a correre? Fallo. Vuoi che sia un giorno normale? Trasformalo in un giorno normale.

Non dobbiamo essere più buoni solo perché una frase del panettone (o pandoro) ci chiede. Possiamo essere noi stessi anche a Natale.

Ance a te e famiglia

Manuella Crini

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Di fango e solidarietà

Pratica gesti casuali di gentilezza e atti insensati di bellezza. A. Herbert

Solidarietà. Un sentimento sociale. Perché le emozioni di base sono favolose ma sono altamente individuali, e poi riescono a combinarsi nella magia delle connessioni sinaptiche e ad un certo punto prendono vita le emozioni complesse che presuppongono il continuo confronto con il mondo relazionale.

L’amore si dimostra con le azioni, e nella solidarietà si esprime una reciproca considerazione di condivisione di interessi.

La spinta alla solidarietà è il senso di appartenenza. E l’appartenenza è un insieme di cerchi concentrici che si stringe intorno a quella che è la famiglia. Ma nei cerchi più ampi la famiglia si allarga. Si condividono idee interessi e obiettivi.

Esser solidali fa bene. Praticate gentilezza fa bene. Alla mente e al corpo. Modifica la pressione sanguigna, abbassa il cortisolo e modifica positivamente le endorfine.

Guardare la solidarietà cambia la prospettiva del mondo. Amplifica il senso di appartenenza a quella famiglia. Fa bene alla coppia e a tutti i membri del gruppo.

Che il corpo risponda su una sensazione mentale, lo trovo semplicemente meraviglioso. Le endorfine aiutano a superare la drammaticità di quanto sta accadendo intorno e il cuore si calma. Lo stress diminuisce. Perché un altro essere della mia specie, mi fa sentire in famiglia.

4-10-2021 tra fango e cose rotte ho visto cose belle – QUADA

#pensieriallacaffeina

auto- di se stima- aes misura di un valore

L’acqua cade dall’alto al basso, è la forza di gravità. Anche le emozioni forse agiscono secondo la stessa legge. T. Kawaguchi

Chi è il metro di me stesso?

William James ha definito per primo un concetto così complesso come il metro di sé stesso come un rapporto. Tra il Sé percepito e il Sé ideale. Più ci avviciniamo all’uno, più la nostra valutazione schizza alle stelle. Un PIL pazzesco che ci riempie di dopamina. Quell’uno sembra ogni tanto così lontano che il bicchiere diventa un quarto pieno.

Le variabili in gioco sono due. Un sé ideale, che costruiamo nel tempo, in base alla nostra storia di vita, alle aspettative che lentamente si sono insinuate nelle nostre sinapsi e un sé percepito, che in quanto tale, non per forza corrisponde al dato oggettivo, e qui tornano in ballo costantemente i legami affettivi precoci, quanto ci hanno valorizzato, quanto ci hanno aiutato a percepire i nostri confini. Ma non vuol dire che se non ci hanno costantemente detto che siamo bravi, buoni e belli allora abbiamo un pessimo senso dei nostri confini. E non vuol nemmeno dire che i nostri genitori siano causa di tutti i mali. Ci sono tante figure importanti che noi incontriamo nel nostro cammino e a volte è il semplice sguardo sconosciuto a farci perdere forza nelle nostre stesse convinzioni. Altre è un partner devastante, ma non è questo lo spazio da dedicare a narcisisti e co. che a volte si palesano sulla strada.

Autostima. Buffo pensare che se ce l’hai, va tutto bene e se manca allora è un disastro. In realtà abbiamo tutti quella costante valutazione di noi stessi. A volte è positiva, altre volte vacilla.

Quindi chi è il metro? Noi. E solo noi. Ma noi siamo animali sociali, inutile negare la profonda influenza degli altri nella costruzione del nostro personalissimo metro. Tutto gira intorno a quello che abbiamo definito essere il Sé ideale. Quello cui vorremo inesorabilmente assomigliare. Può essere un Sé raggiungibile, o può essere così distante da quello che siamo o da come ci percepiamo che viviamo deludendoci ogni giorno. Il Sé ideale contiene non solo quello cui aspiriamo ma si porta dietro anche ciò che non vorremmo mai essere e giudizi che vanno in tal senso, usciti dalla testa e dalla bocca da chi per noi è importante, può essere profondamente dilaniante.

Ma torniamo a noi, che il caffè è quasi freddo. La domanda era: perché in alcune situazioni mi sento profondamente fuori luogo? Perché sento che il mio modo di essere non è quello che mi e si aspettano che sia. Come se fossi vestito da rugbista ad una serata di Gala. Che poi, può anche capitare, ho interpretato male l’invito, ma il più delle volte è il non sentirsi all’altezza della situazione, con una valutazione di sé molto negativa, rafforzata spesso da memorie e ricordi in cui siamo stati denigrati in modo diretto, o peggio, in maniera subdola, senza possibilità di ribattere.

Come fare?

Come al solito stiamo ancora lavorando alla pillola magica, ma nel frattempo, io partirei da una visione diversa del proprio Sè percepito, provando a guardare quei confini che spesso sono disegnati dai nostri valori, quindi cercherei di capire quali sono, se li rispecchio, se poi davvero li ritrovo nel mio Sé ideale. Aumenterei le mie skills, e partirei sempre da quella roba che tutti schifano, le emozioni. Mi ascolterei. Ascolterei il mio corpo, il tempio della mia mente. Che spesso mi parla ma io testardamente, ignoro.

Il caffè è freddo, devo tornare nel mio tempo.

La dottoressa Manuella Crini beve spesso caffè. Pare abbiano un buon effetto anche in termini preventivi di alcune malattie neurovegetative. Se non si esagera. Come tutto.

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Pasah. #pensieriallacaffeina

Passare oltre. Ri-nascere. Sacrificare.

Quanti significati racchiude la Pasqua. Condotti ad un uovo di cioccolato che viene rotto in trepida attesa da un bambino, o da occhi di bambino.

Attesa.

Negli ultimi due anni è diventata anche questo. Attesa che il mondo riparta. Come se si fosse fermato. Imperterrito ha continuato ad avvolgersi su se stesso. A girare intorno al sole. A far germogliare semi. A guardare nascite e morti.

È tornata ad essere sacrificio. Enorme. Per due lunghe attese che qualcosa cambiasse. E sta cambiando. Non so ancora in che direzione.

Perché non si è fermato. Non ci siamo fermati. Siamo cambiati. Nel bene. Nel male. Come se fossero termini assoluti che racchiudono incredibili dogmi. Ma sono contenitori di contenuti che possiamo solo riempire noi.

Qualsiasi cosa vogliamo essere, possiamo continuare a volerlo. Possiamo riempire il bene di tante cose. Buone e belle per noi.

Passare oltre

Ripartire

Rompere l’uovo. Tirar fuori la vita

Auguri

Manuella

#pensieriallacaffeina, Difficoltà psichiche

Il covid non mi toglierà Parigi

Anche se il timore avrà sempre più argomenti, scegli la speranza – Lucio Anneo Seneca

Il computer è collegato al cavo della corrente da questa mattina alle 5. Ho fatto il giro a cercare per casa i tablet, le cuffie, mettere in carica la scuola per domani. E’ una pandemia, come si fa ad essere sereni in una pandemia? Ricordo che a casa mia, figlia di un falegname, restavano sempre cose da aggiustare, perché non c’è tempo per far i lavori a casa propria, quando passi la giornata ad aggiustare i pezzi degli altri. Ed è così che mi chiedo in che punto mi sono crepata. Un po’ ovunque temo. Manca quella spinta vitale che mi permetteva di organizzare una vacanza, ma anche solo una pizza nel week-end. Manca l’energia per pensare come sia fatto il mondo oltre i 30km da casa. Mi sono anche chiesta se la Tour Eiffel stia ancora al suo posto, se alla sera si accendono le luci e chissà se si sente ancora il vento addosso da Trocadero, e le dita si fermano sulla tastiera, le rughe compaiono sul volto, e lo sento. Sento il vento freddo e gelido di febbraio, che mi fa pungere le orecchie ma la meraviglia di quella costruzione che improbabile ha resistito alle esposizioni e sta li, ad aspettare che io torni ad ammirarla di nuovo, rende magico tutto.

Sono troppo dentro la pandemia per restarne emotivamente spostata, la sto vivendo, la sto sentendo, oscillo tra la pena per i morti e quella per i vivi, così oggi non parlerò di articoli, di scienza, di danni da restrizioni e di futuri incerti.

Parlerò di una lunga giornata. Iniziata con più cavi che fili che devo snodare quando addobbo un albero di Natale, iniziata con un trucco bello, un abito felice, e piombata in due classi a distanza che mi fanno risuonare in testa quanto non debba cedere al multitasking che fa male, che stanca, che non permette di fare tutte le cose al cento per cento. Come meritano. Ma il caos ha preso il sopravvento nel modo migliore. Perché io amo il caos. Diventa una musica in 8D che ti fa viaggiare da un emisfero all’altro del tuo cervello (perché non hai una motivazione valida per andare lontano), e ho sorriso. E ho guardato le mie bambine, stanche ma forti, capaci di trovare le più piacevoli soluzioni ai più grandi disagi. Si, il lavoro smart stanca. Non è smart. E’ capovolto. E non diventerà abitudine. Non per me. La scuola a distanza, non è scuola e sono arrabbiata, si tanto, perché le soluzioni dovevano essere altre, ma. I ma appesi. Quelli stesi. Come i panni che stasera ho tolto dalla lavatrice e in mezzo a tante maglie ha fatto capolino quella dell’atletica che mia figlia non potrà fare per chissà quanto e si aprono cassetti e cassettoni sulle ricerche sull’aumento dell’obesità, sulla mancanza di stimoli sociali in un periodo così delicato dello sviluppo e non voglio lasciarmi sopraffare. Devo galleggiare. Non cerco il lato positivo, le situazioni non sono medaglie. Non c’è il bianco o il nero. C’è il rosso. C’è la rabbia. Allora la spingo via, guardo il pc. Penso che sia stata una giornata davvero lunga. Ho fatto così tante cose che nemmeno le ricordo più. Credo che aggiungerò al cv che sono una mamma eroe. Di quelle che ha cavalcato la pandemia, le scelte giuste, quelle sbagliate. Di quelle che meritano un abito alla wonder woman. Eh si. Questa sera mi permetto anche di pensare che avere un corpo calloso così grande mi permette (ci permette, noi, donne) di tenere incollate così tante parti mentre lavoriamo, ritorniamo a scuola, cuciniamo, laviamo renda più facile per noi (donne)arrivare alla sera e sorridere.

Non ce la farò mai, e invece ce la stai facendo. Ancora 5 minuti, ancora 5. Non cerco il lato positivo, è una situazione rotonda. Ma cerco i momenti in cui oggi ho sorriso. E sono stati così tanti che pagano tutte le fatiche a sbrogliare i fili.

Non me ne volete. Ma oggi avevo bisogno di aggiustare qualcosa anche io.

Manuella