Pensieri su giornate speciali

Il sentimento non è un dovere.

“Christmas was the hardest time.” King- la Casa del Buio 1998

Il Natale rompe il tempo lineare. Lo abbiamo voluto cercato creato. Dalla morte apparente della notte più lunga, attraversando lo sfogo collettivo degli schiavi che mangiano con i padroni fino alla nascita del presunto salvatore. Dare senso al buio. Disegnarci dentro. Con una matita bianca.

Il Natale rompe il tempo lineare e fa esplodere una bomba di suoni. Toglie la pelle e si sente di più. Diventa il tempo della nostalgia, delle mancanze, del dovere. Diventa il tempo dell’attesa, della gioia e dei sorrisi. Il Natale si limita a scoperchiare quello che già c’è. Aggiunge sale e da sapore, ma non crea nulla. Si mescolano i ricordi, le memorie autobiografiche, quelle che manipoliamo e cambiamo continuamente, i momenti belli, le assenze. La memoria lavora fortissimo. E genera un come siamo stati amati. E il Natale lo potenzia. Nel bene e ne male.

Ma i sentimenti non sono un dovere. Non devi sentirti bene felice entusiasta. Puoi. Puoi sentire quello che senti. Che arriverà potente tra le tue orecchie e le tue costole. Puoi ascoltarlo. Viverlo. Parlarci insieme e dormirci la notte. Puoi. Una parola magica che sa di libertà.

Il senso del dover essere qualcosa, invalida e calpestata quello che si sente, genera senso di colpa. Quel buco pieno di fango tra il chi sono e il chi dovrei essere. Senza chiedermi se voglio davvero esserlo.

Il Natale illumina. Del resto, il sole torna ad essere presente, il tempo si srotola, qualcosa si salva. Qualcosa cambia.

A Natale puoi. Eccome. A Natale voglio.

Il Natale rompe il tempo lineare. E con una matita bianca, puoi colorare le ombre sul tuo foglio nero.

Qualsiasi cosa sia il Tuo Natale, che sia Tuo. Che sia quel che vuoi e non quel che devi.

Pensieri su giornate speciali

Con vagina o senza

Nella mia mente si affacciano tutte le donne in cui sono inciampata nella mia vita. La mia mamma, la mia nonna, le mie Amiche, sorelle inscindibili.

“Ora ti saluto, vado a far fare i compiti a mia figlia.”

“Io mi metto a pulire, così finisco di cucinare.”

Eppure io e Barbara siamo due meravigliose donne, dentro ad un meraviglioso studio, con un’altra Donna che completa la palette dei nostri colori (e per inciso anche due Uomini che non si dimenticano mai di noi).

Ma da quel ruolo, non ci si esce. Dal ruolo della donna schiava. Con simpatia. Quella che comunque ama lavare pulire cucinare fare i compiti e guadagnare meno. Ama anche però buttare la spazzatura, ama tantissimo non dormire per occuparsi della prole. Ama ancora di più non ricoprire mai il ruolo più alto e soprattutto, ama sentirsi chiedere se vuole figli durante i colloqui di lavoro.

Dolcemente complicate

Bionde

Isteriche

Con il ciclo

Truccati, no?

Metti i tacchi alti

Che maraviglia giocare con gli stereotipi. Con i pregiudizi. Con questa società per cui, entro il 2030 si prevede che quasi la metà della popolazione femminile deciderà di restare single. Perché non più disposta a stare nella relazione sbagliata. Perché non c’è più bisogno di avere una relazione se si ha una vagina. Perché abbiamo meravigliosamente scoperto, che nonostante Lei, possiamo andare oltre il sordido gioco dei pregiudizi e fare tutto quello che fa un uomo. Perché la storia sta mestamente smantellando quello di cui sopra, con una resistenza incredibile della politica, della società, di alcune fasce residue, e se le relazioni non cambiano, ne facciamo a meno.

E quindi, con la rabbia di chi si è sentita dire che è un compito lavare, qui ve lo dico e non ve lo nego, mie bellissime Donne, vestitevi dei vostri pigiami migliori, dei vostri vestiti preferiti preparate un tè, aprite una bottiglia di vino, prenotate un ristorante o un kebab, sedetevi tra simili e ridete. Perché la magia più bella sta nella risata della Libertà. Scegliete partner di vita che vadano oltre ruolo preconfezionato come merendine kinder.

Scegliete simili che siano simili.

Ah. E se avete un dna che non corrisponde a chi siete. Siate. Siate Donne. Quelle belle che siamo.

Con vagina o senza.

Buon 8 marzo.

Pensieri su giornate speciali

Di bilanci. Bilance. Tenere. E mettere in freezer

Cosa ti fa sentire nostalgia?

La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. Gabriel Garcia Marquez

Mia nonna aveva un pozzetto nel sottoscala. Quello che in qualche film dopo ho visto riuscire anche a contenere un cadavere per poter continuare a riceverne la pensione.

C’era dentro letteralmente di tutto. Rigorosamente in scatole sbagliate. Quelle che guardi, pensi sia un gelato e dentro c’è aglio tritato e arance candite. Funghi trovati verso la fine della seconda guerra mondiale e avanzi di qualche pasqua primordiale.

Le cose che contano stanno sopra. Quelle di cui hai ancora una vaga memoria. Quelle che hai congelato da poco. Sono senza brina e hanno ancora il sapore di quando le hai preparate.

Sotto c’è nostalgia e fastidio.

La nostalgia è una bellissima emozione complessa. Tira fuori i ricordi. Venati di gioia e dolore. Rage and love. Story of my life (citazione per pochi amanti). Siamo nostalgici quando abbiamo tempo di aprire il freezer, guardare la nostra memoria antica e provare gioia nel riviverla. Eppure nella storia, la nostalgia era anche una roba bruttina, una specie di malattia contagiosa e invasiva che teneva la mente imprigionata in qualcosa che è stato e che non è. Ma possiamo essere nostalgici. Senza essere malati. Possiamo perché se Madre Natura ci ha dato in dotazione qualcosa di così meraviglioso, legato ai ricordi, è perché serve.

Il fastidio ha a che fare con la rabbia. Con il dolore. Si sente poco, perché è congelato. Perché lo so che devo tirare fuori quella scatola, buttarla o farne altro. Allora fingo di non vederla. Mentre cerco altro. Ma anche il fastidio parla. Ogni emozione parla. Ogni sensazione ci dice qualcosa che possiamo scegliere di ignorare o affrontare.

Arrivare al 31 dicembre vuol dire aver fatto un altro bellissimo viaggio. Cambiare numero e ricordarci che sotto, in quel freezer, ci sono cose da buttare, cose da tenere, cose da trasformare.

Perché può sempre saltare la corrente. E non possiamo controllare tutto.

Fuor di metafora, al freddo delle nostre memorie, affronta quello che puoi affrontare. Lascia andare quello che non serve. Tieni e trasforma quello che di buono hai fatto. Usa nostalgia e dolore.

Buona fine e buon inizio.

Che poi è solo un punto in bilico in un conto alla rovescia

Liberamente ispirata a tante narrazioni del mio 2024.

Pensieri su giornate speciali

Non si chiama festa della donna

Ma io me ne frego e la chiamo così

Le donne sono servite, in tutti questi secoli, come specchi che possiedono il potere magico e delizioso di riflettere la figura di un uomo a due volte la sua grandezza naturale

Virginia Woolf

Sono tutte belle le donne. Eccome. Ognuna con la sua forma. Ognuna con le sue idee. Ognuna con il suo talento. Così diverse. Perché è nella diversità che si cerca l’uguaglianza. Eppure no. Eppure genera fastidio che qualcuna stasera vada in minigonna e rossetto rosso a cena con le amiche.

Perché giudichiamo. Sempre. Ed è bello giudicare. È di vitale importanza. Per poter scegliere. Per potersi esprimere. Ma quando deformiamo il giudizio e lo riteniamo armageddon, allora no. Allora il giudizio fa schifo perché incasella in stereotipi che in fretta diventano violenza.

E ci siamo cresciute tutte dentro. Che devo saper cucinare, pulire casa, servire e occuparmi del portatore di pene. Ma non quelle, no, proprio quello. Il santo Pene. Quello che non abbiamo e allora viviamo castrate per un’assenza che anche la biologia nega. Già. Perché non abbiamo una costola in meno. Ma un potere in più. L’utero. Il maledetto utero che qualcuno vuole gestire e sottoporre a scelte non mie.

Essere donna è difficile. E poco importa se oggi festeggiamo o ci fermiamo a pensare a diritti che in fondo non ci sono. Perché finché necessitiamo di un giorno per ricordarlo, è perché quel diritto non c’è.

E dentro quel giudizio, cresciamo. E la mente si forma e si plasma e decide che è giusto così. Che sono donna senza pene. E allora scelgo la pena. La sofferenza. Scelgo una carriera che si concili con la genitorialità, e se non riesco, rinuncio. Scelgo di fingere un orgasmo, scelgo che mi vada bene se lui lo ha avuto e io no. Scelgo di truccarmi per uscire. Scelgo i vestiti che simulano forme. Scelgo che vada bene. Perché in fondo lo penso perché sono cresciuta immersa in un ambiente così. Dove penso sia giusto così.

Ma se non fossi stata imbevuta di questa roba? Che sarebbe della donna? Quella che sceglie il pretendente migliore per procreare? Non lo sapremo mai. Perché ormai la nostra natura è fusa con la società. Con le società. Ma in quasi tutte, la donna sta alle spalle. Dietro ad un pene. Una spugna. Due sacchetti.

Quindi continuiamo a festeggiare. Che sia la pizza in minigonna, che sia la protesta in piazza. Che siano i pop corn sul divano senza aver lavato i piatti. Perché nella festa c’è rumore e nel rumore c’è la voce. C’è la libertà di voler esser ciò che siamo. E per farlo va cambiata la società. Per metterci in ammollo le nuove generazioni. Quelle ancora pure, quelle per i cui i circuiti neurali possono ancora prendere forme diverse.

Perché siamo diverse. Anche dai portatori di pene. Ed è meraviglioso così. Ma essere profondamente diversi non vuol dire che qualcuno sia migliore o meriti di più. O di meno.

E un grazie a tutte le donne che si sono scrollate di dosso il “non puoi” . E tu puoi essere una di quelle.

Buona mimosa a tutti

Manuella Crini

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Amati. Almeno un po’

Amare sé stessi è l’inizio di una storia d’amore lunga tutta una vita

Oscar Wilde

Una delle più orrende bugie che ci propinano è che per essere amati serve prima imparare ad amare sé stessi. Che cazzata. Epocale. Mi può amare chiunque anche se io mi schifo. Beh, sto meglio se mi amo. Almeno un po’. Ma anche se io non mi amo, anche se mi schifo, qualcuno che mi ama in qualche parte del mondo, c’è. E forse attraverso i suoi occhi imparerò anche io ad amarmi per quella che sono. Ad avere il coraggio di farmi schifo ogni tanto. A prendere per buoni i miei pregi, ad avere il coraggio di accettare quello che non posso cambiare. Del resto noi amiamo anche il brutto. Il pannolino sporco, il vomito addosso senza correttore, il corpo perfettamente imperfetto e i segni del tempo.

Amati per quel che riesci. Metti amore dove riesci. E congratulati con te ogni volta che lo fai. E va bene anche se non hai voglia di star solo. Perché siamo animali sociali e l’equilibrio nella nostra solitudine è solo nostro.

Smetti di rincorrere tutti gli ideali, scrollati di dosso quello che non ti va. Ridi, corri, ascolta musica. Goditi il tempo con te e con gli altri. Guardati allo specchio e cerca un difetto e compensalo con un pregio. Che tanto sono solo parole. Mai assolute. Il mio peggior difetto può essere quello che l’Altro vede come mio miglior pregio. È tutto relativo se ci metti amore.

Amati solo un po’, fallo oggi. Anche una piccola parte di te. Guardati come il cane guarda la ciotola del cibo. Come il gatto guarda la scatola che contiene il regalo che hai comprato per lui.

Buon San Valentino al sapore di cioccolato e caffè

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I bilanci di Natale

Se ci diamo la mano
i miracoli si fanno
e il giorno di Natale
durerà tutto l’anno – Gianni Rodari

Tra le scadenze burocratiche di fine anno prende il sopravvento in maniera potente il bilancio di fine anno. Non c’è nessun commercialista che ne chieda conto, ma diventa un automatismo spinto anche dai buoni propositi che imperversano e che resteranno fermi fino a settembre.

Caro Babbo Natale, sono stato davvero buono? Ho saputo rispettare me stesso come merito? Tu che tutto puoi, che tutto osservi, mi sai dire se davvero ho passato un anno comportandomi bene e quindi mi merito i regali che ti sto chiedendo? Posso avere un po’ di felicità nell’anno che sta per arrivare?

E così Babbo Natale diventa un me stesso con cui parlo, divento io l’osservatore di me stesso, un osservatore che non scappa comunque dai meccanismi più antichi e guarda inizio e fine dell’anno passato, dimenticando il “costruire” che sta all’interno e non me ne voglia Niccolo Fabi, ma inizio e fine sono due aspetti che facilmente ricordiamo. Quello che sta dentro, a meno che non sia crema al mascarpone dentro al pandoro (a me il panettone non piace e chiuderei qui la diatriba inutile), lo scordiamo.

E allora facciamo questo dannato bilancio, sforzandoci anche di ricordare i mesi centrali. Ma come si fa? Come analizzo tutto quello che mi è accaduto in 365 giorni in modo da poter pianificare i venturi in modo che io possa raggiungere vette del benessere ancora inesplorate?

Per far un bilancio servono operazioni, non chirurgiche, ma quasi. Matematiche soprattutto, fatte di somme e sottrazioni. Chi ero e chi sono. Chi volevo essere e chi sono diventato.

Cosa mi ero proposto lo scorso anno? Che avrei fatto palestra? Che avrei lavorato di più o di meno? Che avrei trascorso più tempo in famiglia? Che avrei potato rami secchi?

Partiamo da lì, cose semplici. Che nascondono molto di noi, del nostro ideale. Del nostro Natale.

Niente Grinch per quest’anno. Perché tanto anche lui ama il Natale. Ne ha avuto uno. Senza saperlo ma non senza volerlo. Cerchiamo il Natale dentro di noi. Quella rinascita anche piccola che ci farà sorridere tra 365 giorni.

L’ augurio fatevelo da soli, non perché ne sia a corto, ma perché ognuno di noi sa cosa volere per se stesso. E se non sa come ottenerlo, il primo passo è capire se qualcuno intorno a noi, o anche più lontano, può aiutarci a togliere la nebbia e vedere la strada. Siate Babbi, (non troppo ma nemmeno troppo pochi) siate Re Magi.

Buon Natale

Manuella

Pensieri su giornate speciali

Pensati libera, ma non distruggere il palco

“I ragazzi oggi sono troppo indecisi” Chiara Ferragni

Mentre scrivo il suo occhio mi guarda dal righello di mia figlia. Una riga di occhietti apparentemente inutili che per la mia bambina rappresentano un personaggio che letteralmente adora. E sono molto lieta che le piaccia un viso gentile e senza vergogna. Ma tralasciando i miei personalissimi giudizi sulla persona, volo su quel pensati libera che ha scatenato meme su meme verso l’infinito ed oltre.

Nel mentre un diciannovenne ridendo “distrugge un palco”. Perché pensarsi liberi ed essere liberi sono due cose diverse. Completamente.

Nessuno è libero. Nemmeno Blanco. Nemmeno Grignani. Ma questo già c’è lo diceva Marco Masini cantando vaffanculo.

Per essere bisogna pensarsi. Cogito. Anche se il pensiero è emerso nella storia della vita dopo l’esistenza, è riuscito in modo potente a ribaltare le carte in tavola, ponendosi alla base del castello. Di carta appunto.

Partiamo dal principio, dal brodo primordiale, quando la vita era più facile e si potevano mangiare anche le fragole, ma poi la vita è un brivido che vola via, ed essere unicellulari, diciamocela tutta, faceva schifo. Come avere le branchie. Meglio essere uomini che inquinano le acque che cercano di ripulire per mangiare i pesci e fare il bagno e tintarella di luna e altre canzoni che trovano sempre uno spazio per esistere.

Complicandoci la vita, anche con grosse comunità di persone organizzate, è sembrato carino per l’evoluzione donare i lobi frontali che tra le altre cose permettono il pensiero, la mente, la metarappresentazione di noi stessi. Sum. Ergo cogito.

Ma come i poli dell’asse terrestre ogni tanto cambiamo polarità, anche questa dicotomia si è invertita e l’essenza del pensiero è quella che pra permette l’essenza dell’esistenza.

Pensati libera. Crea quello spazio mentale in cui puoi essere libera. La libertà non esiste in realtà. Siamo comunque vincolati da così tante cose che le parole in questo articolo diventerebbero troppe e ancora più confuse. Ma il pensiero crea nella mente quello spazio di libertà. Il pensiero della libertà è lo scaffolfing della tua libertà. Senza quel prezioso ponteggio ogni azione che tende alla libertà diventa inutile. Perché non ancorato al progetto di sè stessi.

È un pensiero di una profondità così abissale che tira dentro in modo così potente che è diventato virale senza rendersene conto. Ma è un sunto splendido.

Sentiti libera ma non distruggere il palco. Perché se lo fai dai lo spazio a tutti di dire che le nuove leghe sono maleducate e cafone. Perché la libertà ha un piccolo confine invisibile. La mia libertà finisce dove inizia quella di un altro. In uno splendido gioco di bolle di sapone che devono galleggiare delicate per non bucarsi. Doveva far molto più rumore una scritta nero su bianco. Non rosa su Blanco.

Pensarsi libere significa non appartenere a nessuno. Essere liberi vuol dire non ledere nessuno mentre ci esprimiamo. Blanco si è espresso. In un vuoto di rumore nelle sue orecchie ha vissuto il suo video giocando tra le rose e l’indignazione di chi cerca cause scavando anche in una sua potenziale infanzia vacua di ceffoni al punto giusto. Se le rose non soffrono, allora Blanco si è solo espresso liberamente. In un gioco di petali che indubbiamente non lo renderà libero e non gli permetterà di pensarsi tale. E io mi sento libera di non giudicare un quasi ventenne massacrato poi delle sue stesse rose.

Pensiamoci libere. Ma pensiamo che anche gli altri lo sono. A volte poco, a volte troppo.

Manuella Crini, da psicologa capisce della musica che serve a far esplodere o implodere le emozioni. Della moda non capisce molto se non che sia un manifesto di se stessi. Di Sanremo sa che è uno spazio che permette di parlare di tutto.

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Pasah. #pensieriallacaffeina

Passare oltre. Ri-nascere. Sacrificare.

Quanti significati racchiude la Pasqua. Condotti ad un uovo di cioccolato che viene rotto in trepida attesa da un bambino, o da occhi di bambino.

Attesa.

Negli ultimi due anni è diventata anche questo. Attesa che il mondo riparta. Come se si fosse fermato. Imperterrito ha continuato ad avvolgersi su se stesso. A girare intorno al sole. A far germogliare semi. A guardare nascite e morti.

È tornata ad essere sacrificio. Enorme. Per due lunghe attese che qualcosa cambiasse. E sta cambiando. Non so ancora in che direzione.

Perché non si è fermato. Non ci siamo fermati. Siamo cambiati. Nel bene. Nel male. Come se fossero termini assoluti che racchiudono incredibili dogmi. Ma sono contenitori di contenuti che possiamo solo riempire noi.

Qualsiasi cosa vogliamo essere, possiamo continuare a volerlo. Possiamo riempire il bene di tante cose. Buone e belle per noi.

Passare oltre

Ripartire

Rompere l’uovo. Tirar fuori la vita

Auguri

Manuella

Pensieri su giornate speciali

Vorrei essere felice. Ma è Natale.

Inutile chiedersi perché, nessuno sa dare chiarimenti.

Sarà perché in testa le rotelle non ha tutte, sarà  perché le sue scarpe sono strette e tanto brutte. O forse la ragione di tanto malumore è che di due taglie.. ha più piccolo… il cuore! Dr Seuss – Il Grinch

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Lo spirito del Natale, la gioia che sprigionano le canzoni, il freddo, la neve, luci suoni odori telefonate messaggi mail, infiniti auguri da sconosciuti cui devi rispondere, persone felici ma che hanno da esser felici? … ma quando finisce?

riprovo

Lo spirito del Natale. Il pranzo che si avvicina, le luci, i messaggi di auguri, i sorrisi, i caldi abbracci nei caldi maglioni, l’attesa di poter sentire la carta che si strappa e guardare meravigliati i regali.

Sta sempre tutto nel cervello, e anche lo spirito natalizio ha una suo preciso topos dove stare. La corteccia motoria primaria e la corteccia premotoria dell’emisfero sinistro, la corteccia parietale inferiore e superiore destra e la corteccia somatosensoriale primaria bilaterale. Diciamo che occupa una buona parte del nostro chilo e mezzo nella scatola cranica. Queste aree sono deputate a svolgere molti ruoli, per esempio i lobi parietali sono coinvolti in quella parte spirituale della nostra personalità, la corteccia premotoria si attiva nelle emozioni condivise con gli altri. Queste aree si attivano e danno vita a quello che è lo spirito natalizio. In alcuni però non accade, quelli che si riconoscono di più nella prima affermazione, quella per cui il Natale, tutto questo tripudio di gioia, non è.

Il Natale può attivare non solo sentimenti di gioia, ma anche un male di stagione, Seasonal Affective Disorder, non proprio un banale raffreddore, ma legato alla mancanza di esposizione alla luce, alla presenza di  freddo, attacco di virus e batteri, e che porta i quadri depressivi fuori dal letargo, ed è condito a volte dall’amplificarsi della sensazione di solitudine, il terribile paragone con gli altri che hanno l’agenda piena di appuntamenti veri con amici veri fanno e ricevono regali veri mentre io ho tutto il caos intorno e la solitudine dentro. E il Natale fa male, e quelle aree cerebrali che negli altri si attivano, non si attivano in me. E non solo, amplificano un qualcosa che era dentro.

E allora divento Grinch.

Sul perché si diventi verdi, ci sono moltissime storie nascoste. Ricordi di passati Natali non felici, storie di vita complesse, mancanze che si fanno sentire.

Ma Dr Seuss ci racconta un finale magico, quello in cui, grazie ad una nuova storia di vita, fatta di una modalità di accudimento diverso, si cambia, rimanendo sempre sé stessi, ma illuminando a festa anche quelle parti del cervello che non ne volevano sapere di cantare Merry Christmas. Regaliamo tempo prezioso. Regaliamo tempo di ascolto, di cura, di coccole. Ogni interazione ci cambia le sinapsi.

Il mio augurio è questo. Di incontrare per caso, in casa, sul treno nei posti più improbabili, un buon scambiatore di sinapsi che faccia la magia di Natale e accenda le luci non solo sull’albero, ma anche nella corteccia prefrontale

Buon Natale

Manuella Crini

 

 

 

#pensieriallacaffeina, Pensieri su giornate speciali

Mi hanno insegnato che le donne non si toccano nemmeno con un fiore. Ma poi le ho viste uccise in tanti modi.

Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna! William Shackespeare.

Non mi Sono mai accorta che mia figlia stesse crescendo. Cioè, lo so. Ma l’ho sempre trovata uguale. Giorno dopo giorno. Eppure lo so che pesava poco più di 3kg e ora è quasi alta come me. Ma non l’ho notato mentre cresceva. È sempre lei. Sempre uguale. Eppure diversa.

Quando il cambiamento avviene lento, sotto ai nostri occhi, non lo percepiamo. Riadattiamo l’immagine che abbiamo di quella persona, luogo, relazione, un salvataggio continuo.

Così che quella persona splendida con cui si è deciso di stare, non si è svegliato mostro alla mattina. Ma è cambiato piano. Prima una parola. Uno sguardo. Uno schiaffo. Un pugno. Le scale. L’ospedale. Un Cambiamento lento e costante. Continuo. E nella mente un tentativo di combattere la dissonanza cognitiva e di aggrapparsi all’immagine della persona di cui ci era innamorati.

Ma la violenza c’è. Fatta di parole. Di segni sulla pelle. Di umiliazioni continue e di Paura.

Non inizia sempre in modo brutale. Si manifesta lentamente. Piccoli cambiamenti. Cui non si da peso. Che non si vedono quasi. Una gelosia. Una negazione. Ci si adatta in una situazione giustificando tutto in nome di un amore che di amore non avrà nulla. Le parole da sole sono capaci di far disastri incredibili. A volte la violenza resta su questo piano. Invisibile, perché i lividi sono dentro al corpo. Nessuno li riesce a notare. Altre volte si trasforma. In violenza fisica. Mescolata ad una sottomissione emotiva.

Chiedere aiuto è difficile. Fa sentire deboli, fragili, in colpa. Dall’esterno possono arrivare segnali che ci fanno sentire poco adeguati. Come se fossimo artefici del dolore che proviamo. Altra violenza. Sulla violenza.

Oggi è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Perché si sa, le donne sono una parte fragile della società. Più facilmente vittime perché hanno una vagina e pochi diritti ancora. Sono quelle che insieme ai bambini andrebbero salvate per prima. Quelle per cui si disegna una riga rosa per terra. Ma sono quelle che tra le mura domestiche vengono riempite di botte. Di insulti. Di violazioni continue e costanti. C’è tantissimo da fare per uscire da un tunnel buio e mal arredato. Comprendere. Comprendere è una parola bellissima, che sfugge al giudizio, che non lo tollera e non lo attiva, ma accoglie e aiuta. Senza far violenza sulla violenza. Supportare. Tener su una parte che sta cedendo. Non lasciando sola chi è già stata lasciata sola troppe volte. Isolata dal suo stesso carnefice. Tendere la mano. Dar presenza. Esserci. Esser lo spazio per aiutare ad uscire da quel tunnel.

Se non lo avete ancora fatto, io leggerei Non dirmi bugie. Per capire come ci si sente dall’altra parte. Da quella della vittima di violenza. Cosa accade nel suo mondo. Perché è difficile uscirne.

E se leggendo queste parole hai sentito qualche rumore dentro, qualche specchio che si è rotto, rompi anche il silenzio. Ci sono molte figure che possono ascoltarti e centri antiviolenza pronti ad accogliere. Non si è mai soli.

La dott.ssa Manuella Crini riceve nel suo studio in Corso Borsalino 13 ad Alessandria. Altre info nella home del sito. L’immagine appartiene alla raccolta Di Schiena, realizzata da Lucia Bianchi nell’ambito di un progetto portato avanti con Medea – Alessandria.