Pensieri su giornate speciali

Di bilanci. Bilance. Tenere. E mettere in freezer

Cosa ti fa sentire nostalgia?

La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. Gabriel Garcia Marquez

Mia nonna aveva un pozzetto nel sottoscala. Quello che in qualche film dopo ho visto riuscire anche a contenere un cadavere per poter continuare a riceverne la pensione.

C’era dentro letteralmente di tutto. Rigorosamente in scatole sbagliate. Quelle che guardi, pensi sia un gelato e dentro c’è aglio tritato e arance candite. Funghi trovati verso la fine della seconda guerra mondiale e avanzi di qualche pasqua primordiale.

Le cose che contano stanno sopra. Quelle di cui hai ancora una vaga memoria. Quelle che hai congelato da poco. Sono senza brina e hanno ancora il sapore di quando le hai preparate.

Sotto c’è nostalgia e fastidio.

La nostalgia è una bellissima emozione complessa. Tira fuori i ricordi. Venati di gioia e dolore. Rage and love. Story of my life (citazione per pochi amanti). Siamo nostalgici quando abbiamo tempo di aprire il freezer, guardare la nostra memoria antica e provare gioia nel riviverla. Eppure nella storia, la nostalgia era anche una roba bruttina, una specie di malattia contagiosa e invasiva che teneva la mente imprigionata in qualcosa che è stato e che non è. Ma possiamo essere nostalgici. Senza essere malati. Possiamo perché se Madre Natura ci ha dato in dotazione qualcosa di così meraviglioso, legato ai ricordi, è perché serve.

Il fastidio ha a che fare con la rabbia. Con il dolore. Si sente poco, perché è congelato. Perché lo so che devo tirare fuori quella scatola, buttarla o farne altro. Allora fingo di non vederla. Mentre cerco altro. Ma anche il fastidio parla. Ogni emozione parla. Ogni sensazione ci dice qualcosa che possiamo scegliere di ignorare o affrontare.

Arrivare al 31 dicembre vuol dire aver fatto un altro bellissimo viaggio. Cambiare numero e ricordarci che sotto, in quel freezer, ci sono cose da buttare, cose da tenere, cose da trasformare.

Perché può sempre saltare la corrente. E non possiamo controllare tutto.

Fuor di metafora, al freddo delle nostre memorie, affronta quello che puoi affrontare. Lascia andare quello che non serve. Tieni e trasforma quello che di buono hai fatto. Usa nostalgia e dolore.

Buona fine e buon inizio.

Che poi è solo un punto in bilico in un conto alla rovescia

Liberamente ispirata a tante narrazioni del mio 2024.

#pensieriallacaffeina

Parrà bizzarro, ma è l’amicizia.

Qual è la qualità che apprezzi di più in un amico?

Oggi non parlerò di neuroni. Almeno, ci proverò. Oggi parlerò di me. Di un viaggio in macchina, io e me, una delle mie persone preferite al mondo. Con cui dialogo spesso durante i lunghi viaggi. Anche se ho sempre preferito dialogare con me nel doblo. Lui aveva tanto spazio per tutti i miei pensieri. La mia 500 ne tiene molto pochi, e forse, è bene così.

Foto di repertorio

Uscendo da una galleria, fuori dal tunnel, ho avuto un insight. Ho sempre adorato gli insight. Sono come il Natale, quando arrivano, arrivano. Illuminazione. Che poi mi ricorda Stephen King, una splendida festa di morte, shining. Con un finale meno splatter. E un proseguo più divertente. Ho capito di me che la mia vita ruota intorno all’amicizia. Quella simile alle piante grasse, che metti nei vasi, anche piccoli, e te ne dimentichi senza dimenticartene. Perché stanno lì a guardarti ogni mattina mentre bevi il caffè. Senza implorare acqua di continuo. Io faccio morire anche le piante finte. Ma cazzo, sono una buona amica. E i miei amici sono buoni con me.

Giorni lunghi questi. Fatti di ospedali medici infermieri inaspettate sorelle Alma vicine di letto. Giorni di amici che ti tengono compagnia. Perché quando serve le piante grasse fioriscono e non ci sono cazzi, quando fioriscono le piante grasse sono uno spettacolo di colori e bellezza.

E anche se il baricentro di Manuella sono Viola e Rebecca, e il mio equilibrio si sposta con il loro, e io non voglio null’altro che farlo oscillare con loro, intorno ai loro spazi. Alle loro vite. Alle loro vie e canali. Alle piazze e alle strade e alle piazzole di sosta quando ci arriveranno senza benzina e con la batteria scarica. Anche se, mentre oscillo nel mio tempo e nel mio spazio le mie piante grasse stanno lì. Più o meno silenziose. A dirmi che faccio cazzate o sono bravissima. Ma io non sono mai bravissima. Sono io. E loro sono le mie piante grasse.

Mi piacerebbe pensare di aver curato con intensità ciascuna pianta, ma no. Sono un vaso di rose del deserto che inesorabili invadono il mio vaso. Che si moltiplicano. Che cercano spazio. Che fioriscono.

L’ho fatto così. Insight dopo insight. Chimica su chimica di quella chimica che è amore. Perché della vita, la mia, di quelle degli altri ascolto le storie affascinata, è che il mio grande Amore sono i miei amici. In quel continuo voler stare ostinatamente in un’adolescenza che non voglio lasciare andare. Perché è bella, volubile, con tanta energia e tanto spazio bianco su cui scrivere le storie.

La mia famiglia tradizionale siamo io, le mie figlie e tutte le mie piante grasse. Le mie storie d’amore sono fatte per non finire. Perché odio lasciar andare.

Grazie. Sempre.

Vi amo

#pensieriallacaffeina

Ho detto no.

Qual è stata l’ultima volta che hai assunto un rischio? Com’è andata?

Due lettere. Che hanno un potere immenso. Perché sono una matita che disegna intorno a noi i confini. Il chi sono, cosa voglio, cosa amo e come lo amo.

Dire no è rischioso. Perché si perdono costantemente persone intorno a noi che vogliono sentire sempre il nostro si.

Bisogno di piacere. Bisogno di valere. Bisogno di contare per qualcuno. E se dico no, lo perdo. Così mi annullo, non mi ascolto, cerco nelle parole e nei gesti dell’altro quello che può far piacere. E non è un altro a caso. È un altro importante. Qualcuno che vale, che conta, da cui dipendo. E mi strutturo in qualcosa che non sono io. Lascio la matita agli altri. Che mi disegnino pure.

Si, perché si parte da uno e poi diventano nessuno e centomila. Sempre altri a disegnare i miei confini. E il mio vero io, di quello me ne fotto. Non lo ascolto. Lo ignoro. Costantemente. Ma c’è, segreto e nascosto sotto milioni di “si”. Urla in qualche modo la sua presenza. Forte. Fortissimo.

E se ascolto quel sussurro che arriva dal mio profondo, dalle interiora, dalla pelle, mi ritrovo.

Il gesto eroico, per chi funziona così, e non siamo tutti uguali, è il primo no. Quello che funziona. Quello che mi definisce. Quello che mi fa sentire.

Li comincia la salita. Che fantastica storia la vita.

Il primo importante della nostra vita, è il caregiver. Ma nella vita ci sono Altri importanti. Quando un Altro importante per noi, è incostante nel nostro bisogno di amore, crediamo di non andare bene. E ci adattiamo alle sue richieste per non perderlo. Perché è un bisogno l’Amore. Fondante. Fondente. Ma anche diffuso. L’amore è ovunque. Ha tante forme.

Se penso all’Amore, forse credo anche in Dio.

Senza categoria

Accadde in carrozza

Descrivi un incontro casuale con uno sconosciuto che ti ha impressionato positivamente.

Il fascino di chi non conosci, sta tutto nel fatto che non lo conosci. È uno splendido foglio bianco su cui dare vita ad un disegno meraviglioso.

Ci metti tutto quello che ti piace. O non ti piace. Ma il titolo è chiaro, we are supposed to be positive. Per cui ci metto dentro le mie passioni. E so, fortissimamente so, che ama quello che amo io, che ci saranno cose meravigliose se solo potessimo costruire un futuro fatto di tempo sospeso insieme. Ci metto dentro i miei desideri, le mie aspettative, e condisco tutto con un buon soddisfacimento dei miei bisogni. Anche di uno. Uno a caso. È un etto e mezzo, che faccio? Lascio? Lasci pure.

In quel foglio cancelliamo il passato, ma le tracce della matita restano. E scavano i solchi. Che cerchiamo di mascherare affinché quel disegno non vada mai più nella direzione del prima. Avrà linee più armoniche più belle più mie. Ma su quei solchi la matita inciampa. Perché il passato non passa quasi mai. Collassa nel presente e lo solca come le rughe di quel cubano. Quello sconosciuto di cui ho parlato altrove, con occhi di ghiaccio e pelle di ebano. Con età indefinita che sapeva di storia lunga. Di dolori e gioie. Di sorrisi difficili e di perdite mai superate. Eccolo, lo sconosciuto. Lo ricordo ancora. Seduto su un muretto rotto dal tempo e dalla noia. Con rughe profonde, un quadro perfetto. Un sorriso importante. Non poteva che aver avuto una vita meravigliosa. Veniva voglia di sedersi lì, di farsela raccontare la sua vita. Ma immaginarla è ancora meglio. Perché decido io.

Che belli gli sconosciuti. Hanno il fascino del per sempre.

Continua a leggere “Accadde in carrozza”
#pensieriallacaffeina

Come se ridere fosse solo allegria

Cosa ti fa ridere?

Una piccola mandorla nel cervello. Amigdala. Con tante funzioni da sembrare un cervello matrioska. Produce adrenalina. Quella roba che da potere e non fa sentire il dolore.

Contrae i muscoli. E fa ridere. Perché anche per ridere serve quella contrazione. Involontaria. E allora respiri. Smetti di ridere. Entri in contatto con le tue emozioni e a volte ti disintegri. Così la risata ti salva dalla disintegrazione. Tiene insieme i pezzi di te.

Mi fa ridere stare nello stress. Nell’imbarazzo. A volte nel dolore.

E allora rido. Dissimulo. Gestisco lo stress. Ignoro volontariamente o meno quello che mi accade.

Dietro una risata ci sono tanti mondi. A volte dolore. L’abito non fa il monaco e la risata non fa la felicità.

#pensieriallacaffeina

I compiti a casa

Scrivi una lettera a te stesso a 100 anni.

Nella mia stanza accadono cose. In ogni stanza della mia vita accadono cose. Ma nella stanza dello psicologo accadono cose anche agli altri. Anche a me per dirla tutta. Ma questa è un’altra storia.

Nella mia stanza ci si trasforma. Confrontandosi con se stessi. Con quello che si è stato e con quello che si diventerà. Con la mia assurda pretesa di rimanere nel qui e ora. Quel magico spazio dove passato e futuro collassano in un buco nero che diventerà supernova. Non mi interessa sapere se è così o meno. Mi piace pensarlo.

Ma quello che accade nella mia stanza, accade nel tempo dopo. Nel tempo fuori. Come per ogni cibo che si mangia. Accade in digestione.

E in quella digestione lascio spesso i compiti a casa.e la lettera al se stesso invecchiato, c’è spesso. Quella lettera che parla di noi. Che aiuta a capire ora chi vorremo essere, ma anche chi non vogliamo. E quello sta in ciò che non raccontiamo. Perché il non detto ha un potere immenso. Racconta storie e favole silenziose. Parlando di noi.

E nel confronto possiamo fare collassare tutto. E siamo di nuovo nel prendere. Potenziali modi di essere noi a 100 anni.

Provo a sentire il futuro. Quello incerto. Quello che immagina il sole senza pioggia, quello che vuole un mondo senza guerra. Quello che si vede con nipoti, nipotini, unə compagnə rugosə cui stringere forte la mano e vedere il film della propria vita insieme. I capelli bianchi. O semplicemente ancora qualche capello. La somma di tutti i se.

Cara Manuella, chi sarai diventata a 100 anni? Non sarà noiosa la vita senza un lavoro? Avrai foto sparse di te che raccontano di quanto sia bello il mondo? Vivrai al caldo ogni giorno guardando il mare? Spero di si. Anche che ti annoierai. E nella noia inventerai racconti. Di sicuro non avrai imparato a disegnare. Ma a far sognare, spero di sì.

Manuella Crini

Psicologa

#pensieriallacaffeina, Senza categoria

Un epitaffio. Sepolcrale. Soffrire sperando.

Stai scrivendo la tua autobiografia. Qual è la frase di apertura?

La frase di apertura è il pianto. Quando i polmoni iniziano il loro arduo lavoro. Che il cordone non impedisce nemmeno se si annida intorno al collo. Perché semplicemente prima, non respiravamo.

Ma è la frase finale quella che conta. Il riassunto di una vita intera in sintesi. Nasci. Muori. È quello che sta in mezzo che conta. Hai vissuto secondo i tuoi valori? Sei stato felice? Hai amato con tutte le farfalle?

La frase di apertura della mia vita dovrebbe essere il sunto finale della mia vita. La parola fine che precede l’inizio.

Perché anche le nella vita l’ansia è spesso fedele compagna, nessuno vorrebbe esser dentro un thriller. Ma nemmeno nel romanzo rosa. O nelle favole. Perché resta sempre tutto a metà. Ma la vita è dopo il caso risolto, dopo aver trovato l’amore, dopo aver indossato la scarpetta. È lì che inizia la salita. E il panorama è bellissimo.

Quindi dovrò aspettare che la vita mi scorra davanti. Sperando sia un bel film. Con punti di noia e risate. Con momenti in cui servire e tornare indietro per capirli davvero. Pentendomi di non aver imparato prima a restare qui e ora. Sempre.

#pensieriallacaffeina, Senza categoria

Somatotropina

Quali esperienze nella vita ti hanno aiutato a crescere di più?

Dormire.

E potrebbe finire così. Con una parola. Perché pensiamo troppo spesso che subire traumi aiuti a crescere. Che grande cazzata. Per crescere in modo sano, non solo aiutando la fisiologia, è necessario avere esperienze di vita gratificanti e non traumatizzanti. Avere una base sicura. Genitori capaci di essere un porto in cui tornare. Che non siano spazzaneve o neglettanti. La normalità è quello che aiuta nella crescita sana. Il resto accelera o rallenta il raggiungimento di un equilibrio.

Se il sonno della ragione genera mostri, il sonno delle emozioni genera adulti mostruosi.

Ogni esperienza segna. Ma le cicatrici spesso fanno male. E non sempre dai traumi si guarisce.

Senza categoria

Credo nel caos

Credi nel fato/destino?

Il destino fa pensare ad una storia d’amore. Quella cui siamo destinati. Quella cui dobbiamo a tutti costi sottostare perché la metà della mela ci aspetta. Il destino. Inevitabile. Contro cui nulla puoi.

Che idea depotenziante. Che idea del cazzo. Quella per cui non possiamo nemmeno scegliere chi scegliere. Quello per cui non possiamo decidere con chi condividere i capelli bianchi e le rughe profonde.

Credo nel caso. Anzi. Nel caos. Quello per cui siamo lì, tra mille potenziali e siamo solo in uno. E in quel potenziale esprimiamo tutta la nostra poca libertà di decidere. Nel caos.

L’amore è nel caos. L’amore è caos. E se fossimo destinati saremmo felici. Ma non sempre lo siamo. Spesso no. Siamo caotici però. Tanto.

#pensieriallacaffeina, Senza categoria

Adolescenza.

Che consiglio daresti a te da adolescente?

Che bella l’adolescenza. Quella trasformazione continua e verso la quale siamo totalmente impotenti.

Qualsiasi cosa venga detto ad un adolescente, viene tradotto e riletto. Perché spesso c’è il bisogno di fare l’esatto opposto. La madonna con la pistola. Il mio compito arduo di un’adolescenza emo era quello di diventare me stessa. E da bionda diventai nera. Poi blu. E parte di me lo è ancora. Insieme alla me bambina, c’è la me ribelle. Che andava bene a scuola e faceva battute irriverenti. E nei confini elastici che i miei genitori mi mettevano, forse proverei a dirmi che va bene così. Rischiando l’effetto opposto. Perché tanto non mi ascolterei. Mi vedrei vecchia e antipatica.

Farei parlare Margared Mead. Che con i suoi 23 anni ha avuto l’onere e l’onore di andare fuori dalla globalizzazione a conoscere quel periodo della vita al quale tutti vorremo tornare. Per restare o per cambiare. Dove le sinapsi aumentano e poi decrescono. Dove nemmeno i neuroni hanno pace. Dove tutto è in potenza, e aspetta solo di fiorire. Un’apoteosi indomita di fede e rigore che si arma controvertendo le regole.