Pensieri su giornate speciali

Non si chiama festa della donna

Ma io me ne frego e la chiamo così

Le donne sono servite, in tutti questi secoli, come specchi che possiedono il potere magico e delizioso di riflettere la figura di un uomo a due volte la sua grandezza naturale

Virginia Woolf

Sono tutte belle le donne. Eccome. Ognuna con la sua forma. Ognuna con le sue idee. Ognuna con il suo talento. Così diverse. Perché è nella diversità che si cerca l’uguaglianza. Eppure no. Eppure genera fastidio che qualcuna stasera vada in minigonna e rossetto rosso a cena con le amiche.

Perché giudichiamo. Sempre. Ed è bello giudicare. È di vitale importanza. Per poter scegliere. Per potersi esprimere. Ma quando deformiamo il giudizio e lo riteniamo armageddon, allora no. Allora il giudizio fa schifo perché incasella in stereotipi che in fretta diventano violenza.

E ci siamo cresciute tutte dentro. Che devo saper cucinare, pulire casa, servire e occuparmi del portatore di pene. Ma non quelle, no, proprio quello. Il santo Pene. Quello che non abbiamo e allora viviamo castrate per un’assenza che anche la biologia nega. Già. Perché non abbiamo una costola in meno. Ma un potere in più. L’utero. Il maledetto utero che qualcuno vuole gestire e sottoporre a scelte non mie.

Essere donna è difficile. E poco importa se oggi festeggiamo o ci fermiamo a pensare a diritti che in fondo non ci sono. Perché finché necessitiamo di un giorno per ricordarlo, è perché quel diritto non c’è.

E dentro quel giudizio, cresciamo. E la mente si forma e si plasma e decide che è giusto così. Che sono donna senza pene. E allora scelgo la pena. La sofferenza. Scelgo una carriera che si concili con la genitorialità, e se non riesco, rinuncio. Scelgo di fingere un orgasmo, scelgo che mi vada bene se lui lo ha avuto e io no. Scelgo di truccarmi per uscire. Scelgo i vestiti che simulano forme. Scelgo che vada bene. Perché in fondo lo penso perché sono cresciuta immersa in un ambiente così. Dove penso sia giusto così.

Ma se non fossi stata imbevuta di questa roba? Che sarebbe della donna? Quella che sceglie il pretendente migliore per procreare? Non lo sapremo mai. Perché ormai la nostra natura è fusa con la società. Con le società. Ma in quasi tutte, la donna sta alle spalle. Dietro ad un pene. Una spugna. Due sacchetti.

Quindi continuiamo a festeggiare. Che sia la pizza in minigonna, che sia la protesta in piazza. Che siano i pop corn sul divano senza aver lavato i piatti. Perché nella festa c’è rumore e nel rumore c’è la voce. C’è la libertà di voler esser ciò che siamo. E per farlo va cambiata la società. Per metterci in ammollo le nuove generazioni. Quelle ancora pure, quelle per i cui i circuiti neurali possono ancora prendere forme diverse.

Perché siamo diverse. Anche dai portatori di pene. Ed è meraviglioso così. Ma essere profondamente diversi non vuol dire che qualcuno sia migliore o meriti di più. O di meno.

E un grazie a tutte le donne che si sono scrollate di dosso il “non puoi” . E tu puoi essere una di quelle.

Buona mimosa a tutti

Manuella Crini

6 pensieri su “Non si chiama festa della donna”

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