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Tra cognizione ed emozione

Cosa ti annoia?

E chi la conosce più la noia? Con uno smartphone in mano, diventa uno stato, che oscilla tra i lobi frontali ed il sistema limbico, che non ascoltiamo più. Tra foto e video e reel e altre cose di cui devo ancora imparare il nome, ignoriamo la noia. Eppure vince a Sanremo. Perché la noia è qualcosa che parla. Che crea un vuoto indispensabile per farci prendere i pennarelli e colorare dentro e fuori i bordi.

Ma come tutte le emozioni, se non la ascoltiamo, se la ignoriamo, lei continua silenziosamente a guidare il nostro comportamento verso un abisso di apatia.

La noia è bella. Come lo è la tristezza. La rabbia. Il disgusto. La vergogna. E la sua bellezza sta nel potenziale comunicativo che ha con noi. Perché parla di noi. Ma ignorare, ignorare è brutto. Perché non ci si ascolta. E così il disegno resta vuoto. In bianco e nero. Senza sfumature.

Annoiati consapevolmente. Ascoltati. E colora

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Che domanda @manusbirra

Qual è il tuo drink preferito?

Amara. Fruttata. Caffettosa.

La birra porta con sé il sapore della trasformazione del luppolo. Altro che baco che diventa farfalla.

Basta il rumore del tappo che si alza per sentire già il sapore. Che strana cosa. Le associazioni mentali. Tra aree diverse del nostro cervello. Rumori, odori, sapori. Memorie.

Quel profumo che ricorda la nonna, per me quello del burro che si impasta con la farina e la vedo che sorride con il suo perfetto grembiule legato con eleganza e maestria guadagnata negli anni di vita. Quando era più difficile. Col cazzo che era più facile. Fatela voi la guerra. Fatela voi la fame. Fate voi i genitori guidati da stregoni che segnano i vermi quando il bambino piange.

Ecco come funzioniamo. Ho immaginato un cavatappi e sono finita a pensare alla vita della nonna. A ringraziare silenziosamente la sua storia che ha permesso la mia. Associazioni, catene di ricordi. Che lasciano il sorriso o l’amaro in bocca.

Come la birra.

Ho chiuso il cerchio

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Nel fango e nella polvere

Raccontaci del tuo paio di scarpe preferite e di dove ti hanno portato.

Mettiti nelle scarpe di un altro e prova a camminarci. Deve essere quella l’empatia. Sentire ad ogni passo come incliniamo il corpo per rispondere alla vita.

Le scarpe con i tacchi mi hanno sempre portato in luoghi dove potevano rompersi. Perché la femminilità è tanto dura quanto fragile.

Le scarpe eleganti mi hanno sempre portato in farmacia a comprare cerotti, perché il formalismo è doloroso. Perché comprime in qualcosa che non abbiamo deciso noi.

Le scarpe da correre mi hanno sempre portato nel fango e nella polvere. Nei posti sporchi con i piedi bagnati. Dove il cuore batte forte e il fiato si fa corto. E non ci sono forme dentro cui schiacciarsi e non ci sono maschi, femmine e stringhe. Ma ci sei solo tu.

Le scarpe da corsa sono quanto di più libero si possa avere ai piedi. Serve solo il coraggio di sporcarsi

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Alla caffeina

Lou Reed diglielo tu

Drink sangria in the park

La giornata perfetta inizia con un caffè nero. Bollente. Che va fatto raffreddare prima di essere bevuto perché la fretta fa perdere i sapori. E bruciare la lingua.

Continua con le fusa del gatto, perché i sensi servono tutti. e le fusa sanno calmare. Sanno far sorridere.

E poi si ha da lavorare. Il travaglio francese, che nella sua bellezza genera un pezzo di vita. Quel posto nel mondo che se ami, non ti sembrerà mai di faticare.

E poi la cucina. Le mani in pasta. Nella farina, a sporcarsi di odori rumori e cambiamento.

Esseri umani. Ovunque. Piccoli grandi vicini lontani. Riempirsi la vita di altre vite, prima di dormire, nel buio di una stanza con la luce della luna e il rumore del silenzio